L’etica professionale è un tema spesso dimenticato quando si discute del sistema giudiziario e delle sue criticità.

Eppure le condotte di coloro che sono i protagonisti della giurisdizione (avvocati, giudici e pubblici ministeri, tutti tenuti al rispetto dei principi dell’etica professionale) incidono fortemente sulla credibilità di un sistema giudiziario e quindi sulla sua efficacia.

Per quanto riguarda gli avvocati, la legge n. 247 del 2012, nel disciplinare ex-novo l’ordinamento della professione forense, ha istituto i Consigli Distrettuali di Disciplina Forense, a cui ha attribuito la potestà disciplinare sanzionatoria.

A ciascun Consiglio, operante in ogni distretto di Corte di Appello, è stato assegnato il compito di valutare disciplinarmente le condotte degli avvocati e degli altri iscritti agli albi ed elenchi tenuti dai Consigli dell’Ordine, con applicazione delle relative sanzioni in caso di violazione dei canoni deontologici.

La legge del 2012

Prima che fosse approvata la legge del 2012 erano i Consigli dell’Ordine territoriali che valutavano le condotte degli iscritti, con i quali in verità potevano anche intercorrere stretti rapporti personali, associativi o professionali, con una vicinanza potenzialmente in grado di condizionare gli esiti dei procedimenti disciplinari e con inevitabili sospetti di parzialità e difesa corporativistica della categoria, a discapito degli utenti.

Il legislatore del 2012, regolando la professione forense, ha voluto tutelare l’affidamento della collettività nei confronti di un professionista rispettoso dei principi dell’ordinamento giuridico, della importante funzione sociale dell’Avvocatura e delle regole che disciplinano in modo specifico l’attività forense.

Regole dirette ad esaltare un patrimonio etico non circoscritto al solo ambito nazionale, ma condiviso con circa un milione di avvocati europei che si riconoscono nei principi fondamentali riportati nella Carta adottata dal CCBE (Consigli degli Ordini Forensi D’Europa) sin dal novembre 2006.

Proprio al fine di garantire l’affidamento della collettività (traduzione nella legge professionale del concetto europeo di public confidence) la legge n. 247/2012 ha delineato un giudice disciplinare indipendente e imparziale, sancendo l’incompatibilità del Consigliere di Disciplina ad occuparsi di ogni procedimento riguardante un collega iscritto al proprio stesso Ordine forense, così determinando una vera e propria “rivoluzione copernicana” rispetto al passato.

A partire dal 1° gennaio 2015 l’esercizio dell’azione disciplinare è stata quindi trasferita ai Consigli Distrettuali di Disciplina.

La nuova procedura disciplinare

La nuova e più complessa procedura disciplinare - del tutto diversa da quella precedente risalente all’anno 1933 - ha imposto ai Consiglieri di Disciplina, eletti nel primo quadriennio 2015-2018, di dar vita a nuove prassi procedimentali, virtuose ed integrative delle carenze normative, di creare “giurisprudenza” in materia di “nuovo” procedimento disciplinare.

Inoltre, stante l’autonomia organizzativa dei Consigli disciplinari, nel primo mandato i Consiglieri Distrettuali si sono dovuti occupare anche dell’organizzazione delle Segreterie dei Consigli stessi, oltre che della formazione del personale dipendente.

Il Consiglio Nazionale Forense ha fornito una formazione di base ai neo Consiglieri di Disciplina, che è stata poi implementata, a livello distrettuale, con incontri e confronti tra tutti i componenti, al fine di rendere omogenee le prassi procedimentali, rispetto alle quali non esistevano precedenti.

Molteplici, significativi e proficui sono stati anche gli incontri tra i Consigli Distrettuali italiani, al fine di confrontarsi sulle comuni criticità e condividere le soluzioni individuate e le prassi virtuose adottate.

La rete oggi esistente tra i Consigli Distrettuali di Disciplina, organizzata in sinergia con la Commissione Giurisdizionale del Consiglio Nazionale Forense, ha individuato anche un nutrito elenco di modifiche che, apportate alla normativa vigente, consentirebbero di rendere più efficaci le attività disciplinari, snellendo l’iter procedimentale, sempre nel rispetto delle garanzie difensive dell’incolpato (quali, tra le tante, la riduzione a tre dei componenti la Sezione giudicante); purtroppo, nonostante l’impegno profuso dal Consiglio Nazionale Forense per giungere alla loro approvazione in sede parlamentare, le proposte di modifica giacciono da tempo in qualche cassetto presso l’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia.

Il congresso di Lecce

Con fiducia si auspica che l’imminente Congresso Nazionale Forense a Lecce possa risultare utile a favorire l’approvazione parlamentare delle riforme normative anche in ambito disciplinare.

Quando dall’esterno si giudica l’operato dei nuovi Organismi, si omette spesso di considerare che dal primo giorno del loro avvio i Consigli Distrettuali di Disciplina si sono dovuti far carico dell’enorme inevaso disciplinare ereditato dai Consigli dell’Ordine territoriali, il cui lascito, a livello nazionale, ammontava a circa 11.000 fascicoli alla data del 31 dicembre 2014.

Tale consistente arretrato ha immediatamente determinato un aggravio di lavoro per i nuovi Organismi, che si è sommato a quello nascente dalle segnalazioni successivamente pervenute, assai numerose soprattutto nei distretti più grandi (nel solo distretto di Corte di Appello di Roma si sono registrate negli ultimi anni 1200/1400 segnalazioni all’anno).

Va però evidenziato che circa l’80% degli esposti disciplinari, che giungono ai Consigli Distrettuali, vengono definiti con un provvedimento di archiviazione per infondatezza della notizia di illecito disciplinare, mentre soltanto il 14% giunge alla fase dibattimentale con irrogazione di una sanzione.

Tale dato evidenzia la strumentalità della maggior parte delle segnalazioni che spesso scaturiscono da contrasti tra iscritto e parte assistita all’atto della conclusione della causa, momento che solitamente coincide con il pagamento del compenso dell’avvocato.

Una categoria “sana”

Si può quindi affermare, con il supporto dei dati statistici, che l’avvocatura, nel suo complesso, risulta una categoria “sana”, laddove le condotte di rilevanza disciplinare, anche quando gravi, costituiscono certamente una minoranza.

Tenuto conto di tali circostanze, le critiche che da alcuni vengono sollevate in merito all’efficienza della giustizia disciplinare esercitata dai Consigli Distrettuali di Disciplina, appaiono ingenerose.

I Consigli Distrettuali svolgono una delicata quanto fondamentale funzione, avvalendosi di avvocati che a titolo onorifico, per mero spirito di servizio e senza alcun compenso, hanno scelto di impegnarsi, per un periodo di tempo, in favore della loro categoria professionale.

Per lo svolgimento dell’attività istituzionale, molti di loro sono costretti a raggiungere la sede del Consiglio di Disciplina dai vari Fori di provenienza, ubicati nel rispettivo distretto di Corte d’Appello, sottraendo tempo e attenzioni alla professione, ai loro cari e alle loro abitudini di vita.

Una passione li anima, la stessa che un giorno li ha spinti a scegliere una professione intellettuale così totalizzante e che oggi li determina a contribuire alla tutela del patrimonio etico dell’avvocatura.

Credono, come me, nella funzione imprescindibile dell’avvocato nella giurisdizione e si impegnano al loro meglio per assicurare alla collettività e alla clientela un professionista affidabile, rispettoso delle regole deontologiche e capace di tutelare con efficacia i diritti di chi a lui si affida con fiducia.

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