Con l’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario, si è chiuso il pacchetto giustizia previsto dal Pnrr.

I ddl sono tutte leggi delega al governo e sono composta da una parte immediatamente applicativa e un’altra che necessita di decreti attuativi per trovare concreta applicazione.

La parte più delicata e più controversa della legge delega sull’ordinamento giudiziario riguarda la legge elettorale del Csm, che è immediatamente applicativa e necessita solo di una norma transitoria per disegnare i nuovi collegi elettorali, poi il presidente della Repubblica potrà convocare le elezioni del Consiglio.

Il ministero della Giustizia intende farlo nel minor tempo possibile: il Csm ora in carica, infatti, scade il 25 settembre e la previsione è che le nuove elezioni possano essere convocate in tempo per rispettare questa scadenza, pur lasciando ai magistrati il tempo per una campagna elettorale che non sia solo il mese di agosto, che è il mese della sospensione feriale.

La nuova legge prevede moltissimi cambiamenti e solleva già alcuni problemi: il primo riguarda come verranno disegnati i collegi e di conseguenza l’elezione della componente togata; il secondo l’individuazione dei consiglieri laici, ovvero quelli eletti dal parlamento e che vanno eletti dal parlamento in seduta comune a scrutinio segreto e con la maggioranza dei 3/5 dei componenti l’assemblea.

Il problema dei laici 

La nuova legge aumenta il numero di consiglieri: i laici da 8 diventano 10, i togati da 16 diventano 20, cui si sommano i tre componenti di diritto: il presidente della Repubblica, il primo presidente della Cassazione e il procuratore generale di Cassazione.

Il Csm dura in carica 4 anni e quello attuale è stato eletto nel 2018, appena insediato il governo Conte 1, dunque la composizione dei laici rispecchiava quella maggioranza.

Infatti, gli attuali membri laici sono tre in quota Movimento 5 Stelle (Alberto Maria Benedetti; Filippo Donati e Fulvio Gigliotti); due in quota Lega (Stefano Cavanna ed Emanuele Basile) eletti all’epoca in quota maggioranza; mentre in quota opposizione due erano di Forza Italia (gli avvocati Michele Cerabona e Alessio Lanzi) e uno Pd, con David Ermini che poi è stato anche eletto vicepresidente del Csm.

Ora, vista la maggioranza allargata, è difficile dire come avverrà la composizione. Ma soprattutto spicca un fatto: il prossimo Csm rimarrà in carica fino al 2026 – dunque per buona parte della prossima legislatura – ma avrà una componente laica scelta sulla base dei rapporti di forza del parlamento in scadenza sei mesi dopo. Un parlamento la cui composizione non rispecchia assolutamente gli attuali sondaggi, in particolare rispetto al Movimento 5 Stelle e alla Lega. Se all’attuale opposizione di Fratelli d’Italia spetterà almeno un membro, gli altri nove dovranno essere scelti con equa ripartizione che soddisfi tutti i partiti della maggioranza, anche quelli nati nel frattempo come Italia Viva.

Difficile, allora, immaginare quale incastro sarà possibile, considerata anche la maggioranza qualificata necessaria per eleggere i laici.

Il problema dei collegi

Anche per i magistrati che dovranno confrontarsi per la prima volta con i nuovi collegi le incognite non mancano.

La precedente legge elettorale prevedeva che i togati venissero eletti per categoria (giudici di legittimità, di merito e pubblici ministeri) ma in un collegio unico nazionale. La nuova legge elettorale, invece, prevede di ripartire i 20 togati da eleggere in due collegi nazionali e sei territoriali. 

In un collegio unico nazionale si eleggono i 2 componenti che esercitano funzioni di legittimità in Cassazione e procura generale, con sistema maggioritario che fa eleggere i due candidati più votati.

In due collegi territoriali ancora da individuare si eleggono i 5 magistrati che hanno funzione di pubblico ministero, con sistema binominale maggioritario in cui vengono eletti i 2 candidati più votati per collegio e il miglior terzo, con percentuale di voti sul totale degli aventi diritto.

In quattro collegi territoriali si eleggono gli 8 magistrati con funzioni di merito, con sistema binominale maggioritario che fa eleggere i due candidati più votati per collegio.

Infine, in un unico collegio nazionale si eleggono 5 magistrati con funzioni di merito ma con ripartizione proporzionale dei seggi. 

Tradotto: 14 magistrati verranno eletti con sistema maggioritario, 6 con il correttivo proporzionale (il miglior terzo tra i pm e 5 giudici di merito nel collegio unico nazionale). Sentito il Csm, il ministero dovrà individuare la geografia dei 6 collegi binominali che, secondo la legge devono essere composti in modo da avere tendenzialmente lo stesso numero di elettori e rispettando il criterio della continuità territoriale tra distretti di corte d’appello.

Questo sistema dovrebbe favorire l’eleggibilità di magistrati riconosciuti per competenza sui loro territori, visto che i collegi sono più piccoli. In questo modo le dinamiche correntizie dovrebbero essere ridotte, anche grazie al fatto che è stata abolita la raccolta delle 25 firme per presentare la propria candidatura al Csm. Inoltre, le candidature non possono essere meno di 6 per ciascun collegio e devono rispecchiare la parità dei generi. Qualora questi due criteri non venissero rispecchiati, i candidati mancanti verrebbero estratti a sorte tra i candidati eleggibili e che non hanno manifestato la loro indisponibilità alla candidatura.

Come sono ripartiti i nuovi collegi

Ii ministero della Giustizia ha definito i confini territoriali dei collegi, ha inviato la bozza al Csm e il plenum ha dato parere favorevole a maggioranza: 21 i voti favorevoli, 3 i contrari (i togati Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo e il laico della Lega Stefano Cavanna) e un astenuto, il laico M5s Fulvio Gigliotti.

La nuova configurazione rispetta i criteri di tendenziale equivalenza del numero degli elettori e della continuità territoriale dei distretti, ma le maggiori perplessità hanno riguardato i tempi molto veloci con cui il testo è arrivato: la riforma approvata la settimana scorsa, il testo in plenum questa settimana per il sì senza possibilità di slittamenti.

Non solo: «I collegi per la prima volta sono decisi dal Governo e non dal Parlamento, non approverò il parere in segno di protesta», ha detto il laico Cavanna.

Infine, secondo alcuni consiglieri il fatto che i collegi si conoscano solo ora favorirebbe i candidati dei gruppi associativi considerati già sicuri.

Lo schema prevede, per i due collegi dei pm circa 4500 elettori l’uno: il primo include i distretti di Brescia, Firenze, Genova, Milano, Perugia, Roma, Torino, Trento, Trieste e Venezia; il secondo quelli di Ancona, Bari, Bologna, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catania, Catanzaro, L'Aquila, Lecce, Messina, Napoli, Palermo, Potenza, Reggio Calabria e Salerno.

Per quanto riguarda i 4 collegi dei giudici, hanno ciascuno una media di poco più di 2mila elettori: il primo include i distretti di Brescia, Milano, Torino, Trento, Trieste, Venezia; il secondo quelli di Firenze, Genova, Perugia e Roma; il terzo accorpa i distretti di Ancona, Bologna, Cagliari, Campobasso, L'Aquila, Napoli e Salerno e il quarto quelli di Bari, Caltanissetta, Catania, Catanzaro, Lecce, Messina, Palermo, Potenza e Reggio Calabria.

Che fine fanno le correnti

I gruppi associativi sono in fibrillazione. La campagna elettorale è già cominciata, pur se in sordina, e gli attuali togati insieme ai possibili candidati stanno iniziando i loro giri per le corti d’appello. Tuttavia, la variabile di come siano disegnati i collegi è determinante per capire quali strategie elettorali adottare.

In attesa del parere del Csm, l’attenzione è tutta su via Arenula e su chi, materialmente, suggerirà alla ministra le soluzioni da adottare, soprattutto considerato che buona parte degli uffici ministeriali è guidata proprio da magistrati. Proprio l’individuazione di un perimetro di corti d’appello invece di un altro potrebbe far cambiare la maggioranza della prossima consiliatura.

Non solo, la legge elettorale prevede che le candidature possano essere individuali, oppure che ci siano collegamenti. Ogni candidato può essere collegato a un solo gruppo, il collegamento deve essere reciproco e deve essere rispettata la rappresentanza di genere: quindi sarà possibile creare delle vere e proprie liste. Il collegamento non ha effetti diretti sui collegi maggioritari, ma invece ha effetto sui 5 posti assegnati con il proporzionale nel collegio unico nazionale e quindi i candidati di lista dovrebbero essere avvantaggiati nel riparto proporzionale.

Proprio questo meccanismo di fatto favorisce i gruppi associativi, proprio nella parte proporzionale delle candidature che dovrebbe invece essere l’elemento della legge elettorale che dovrebbe riequilibrare gli eletti rispetto ai candidati di corrente.

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