Il 28 gennaio la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni sottoposte al suo vaglio in materia di riconoscimento dei figli nati da coppia omogenitoriale. Si resta in attesa delle motivazioni, che saranno depositate nei prossimi giorni, ma dai comunicati che hanno accompagnato l’esito dei ricorsi sembra chiara la posizione assunta dai giudici costituzionali.

Il vuoto legislativo in materia – evidenziato dalla Corte – non ha consentito alla Consulta di pronunciarsi in via interpretativa e, a sommesso avviso di chi scrive, non sembra che vi fossero altre strade percorribili per il giudice delle leggi, salvo assolvere a una funzione di creazione del diritto a detrimento dei poteri del parlamento.

La risposta ai numerosi interrogativi che continuano a emergere – sempre con maggiore frequenza – in ordine alla tutela dei figli di coppie omosessuali, dunque, dovrà arrivare dal legislatore che su tali questioni è parso, non a caso, fin troppo timido.

A quanto si apprende dai comunicati, l’intervento della Corte, pur non potendo colmare un vuoto legislativo di tale portata, non pare scevro da indicazioni. La Consulta, infatti, rivolge un vero e proprio monito al legislatore non solo a provvedere, ma a «garantire piena tutela ai nati» in una coppia omogenitoriale, «anche alla luce delle fonti internazionali ed europee».

La strada per il legislatore, quindi, appare segnata in una precisa direzione, non solo secondo i principi costituzionali, ma anche secondo le norme di diritto europeo e internazionale.

La palla, dunque, passa al legislatore – che dovrà indicare forme e le modalità di riconoscimento dei figli nati in una coppia omogenitoriale – ma le regole del gioco le detta la Consulta.

I casi sottoposti alla Consulta

In primo luogo, pare il caso di precisare che la Corte costituzionale era chiamata a pronunciarsi su due questioni distinte.

La prima riguarda il riconoscimento dello status di figli per i nati mediante tecnica di procreazione medicalmente assistita eterologa, praticata all’estero da due donne.

Qui, il vuoto di tutela sollevato dal giudice a quo veniva in rilievo in una situazione conflittuale della coppia. In particolare, il genitore c.d. sociale lamentava un impedimento all’esercizio del diritto di visita dei minori da parte della madre biologica e la situazione concreta non consentiva di far leva su alcun appiglio normativo per il riconoscimento della genitorialità in favore della prima.

Non poteva darsi corso, infatti - secondo quanto si apprende dal comunicato - all’adozione non legittimante di cui all’art. 44 della legge n. 184/83 s.m.i., ossia a quel tipo di adozione prevista a chiusura del sistema in tutti i casi in cui non sia possibile dare corso all’adozione “vera e propria” (legittimante) perché non sussiste lo stato di abbandono.

Va detto che la citata disciplina, c.d. adozione in casi particolari, è stata utilizzata in più di un’occasione dalla giurisprudenza come riferimento normativo per valorizzare la sussistenza di un vincolo giuridico tra il genitore non biologico e il minore, in coppie omogenitoriali, garantendo di fatto un accesso alla genitorialità adottiva alle coppie omosessuali, in assenza di una disciplina in materia.

Dunque, il profilo che parrebbe in rilevo sembra solo indirettamente connesso al riconoscimento dello status di figlio di due donne, essendo leso in via primaria il diritto del minore – in caso di crisi dell’unione sentimentale – di mantenere un legame anche con la genitrice c.d. sociale.

Il secondo caso sottoposto al vaglio della Consulta, invece, riguarda l’impossibilità di riconoscere in Italia, perché in contrasto con l’ordine pubblico, lo status di figlio di due genitori che abbiano fatto ricorso alla tecnica della maternità surrogata, pratica considerata nel nostro ordinamento penalmente sanzionata.

Il tema, qui, è profondamente diverso e si collega alla nota pronuncia delle S.U. n. 12193/2019, che ha negato la possibilità di trascrizione in Italia di un certificato di nascita del minore figlio di due uomini per contrarietà ordine pubblico della tecnica di maternità surrogata.

Sulla possibilità di riconoscimento in Italia di un atto di nascita formato all’estero di un minore figlio di due donne che abbiano fatto ricorso alla fecondazione eterologa (la prima donando l’ovulo e la seconda conducendo a termine la gravidanza con utilizzo di un gamete maschile di un terzo ignoto), invece, pur in presenza di pronunce contrastanti, si è registrata una sostanziale ammissibilità, sin dal noto intervento di Cass. n. 19599/2016.

Uno spunto di riflessione a margine

Il campo in cui si è svolto gran parte del dibattito è quello del recepimento in Italia di atti stranieri, più precisamente: il riconoscimento di una decisione straniera ovvero la trascrizione nei registri dello stato civile di un atto di nascita, già validamente formato all’estero, che riconosca lo status di figlio di una coppia omogenitoriale.

La copiosa e alterna giurisprudenza formatasi in materia riguarda, infatti, l’ipotesi di recepimento di un atto straniero per il quale ha svolto un ruolo preminente la conservazione dello status filiationis, validamente acquisito all’estero, nel superiore interesse del minore.

La normativa che viene in rilievo, nel caso mancato riconoscimento di un provvedimento straniero, è l’art. 67 l. n. 218 del 1995, mentre, nel caso di rifiuto dell’ufficiale di stato civile a provvedere alla trascrizione dell’atto di nascita, può utilizzarsi l’azione di cui all’art. 95 d.P.R. n. 396 del 2000.

Ad oggi, invece, non esiste nel nostro ordinamento una normativa che disciplini direttamente la formazione in Italia di un atto di nascita di un figlio di coppia omossessuale; la questione è rimessa in concreto alla decisione di ciascun ufficiale di stato civile e, dunque, ai sindaci che si trovano a doversi destreggiare con non poche difficoltà.

Da ultimo, sulla questione è intervenuta la Corte di cassazione (Cass. n. 8029/2020), che ha negato l’ammissibilità del riconoscimento di un minore da parte del genitore c.d. sociale (nella fattispecie, la donna era legata in unione civile con la madre biologica del minore) in quanto in contrasto con l’art. 4, l. n. 40/2004, che esclude il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, da parte delle coppie omosessuali.

L’intervento del legislatore, dunque, appare destinato a colmare anche questa lacuna, che oggi rischia di creare non solo una disparità di trattamento fra i figli di coppie omosessuali e i figli di coppie eterosessuali, ma anche fra figli di coppia omosessuale nati all’estero e ivi riconosciuti e quelli nati in Italia, ricordando che il diritto in gioco è quello del minore allo status filiationis.

E chissà che nell’occasione non si ponga mano anche alla disciplina delle adozioni, dove l’adozione in casi particolari ha assolto negli ultimi anni una funzione di valvola di apertura del sistema, ben più ampia di quella attribuitale nell’impianto originario, nel tentativo di colmare quel vuoto che appare oggi non più procrastinabile.

Attendiamo, dunque, l’intervento del legislatore: la famiglia, oramai da tempo, non è più quell’isola che il mare del diritto può solo lambire.

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