Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha ribadito alla commissione Giustizia della Camera le linee guida del suo dicastero, dopo l’intervento di ieri al Senato.

In particolare, il ministro è tornato su una sua battaglia storica, contro la divulgazione illegittima di intercettazioni coperte dal segreto istruttorio. «diffusione pilotata e arbitraria di intercettazioni non è civiltà, non è libertà, ma è una porcheria e una deviazione dei principi minimi di civiltà giuridica sulla quale questo ministro è disposto a battersi fino alle dimissioni», ha detto Nordio, che ha rigettato l’accusa di aver attaccato su questo la magistratura.

Nel suo intervento al Senato, infatti, aveva anticipato una «profonda revisione» del sistema delle intercettazioni  e annunciato che il ministero invierà immediatamente gli ispettori nelle procure da cui usciranno illecitamente intercettazioni: «Vigileremo in modo rigoroso su ogni diffusione che sia arbitraria e impropria».

Alla Camera, Nordio ha detto che il suo non è stato un attacco ai pubblici ministeri, «ma è vero che c'è stato un difetto nella vigilanza: non si è vigilato abbastanza per evitare che persone che non c'entrano nulla con le indagini o non sono nemmeno indagate vengono delegittimate sulla stampa». Nordio ha ribadito che «intercettazioni pilotate, selezionate, spesso arbitrarie, che dovrebbero essere strumento di ricerca della prova, sono diventate strumento di prova e come tali, essendo state inserite nelle ordinanze di custodia cautelare, sono state divulgate nei giornali».

La riforma

Dalle parole di Nordio si evince il tipo di riforma che ha in mente: non l’abolizione di uno strumento di indagine che è diventato sempre più fondamentale (ma che costa allo stato circa 200 milioni l’anno), ma una regolamentazione che impedisca che venga violato l’onore e la riservaterzza dei terzi non interessati dall’indagine e che si violi il segreto istruttorio.

Nordio ha citato la sua esperienza con l’inchiesta sul Mose di Venezia, spiegando che le intercettazioni devono essere «strumento di ricerca della prova, non mezzo di prova».

La disciplina attuale, secondo il ministro, «rende possibile il trapasso di mano in mano delle intercettazioni. Ma è questo il problema: la diffusione, che da sempre viola le norme del Codice di procedura penale, è mal governata da alcuni magistrati e sottolineo alcuni».

Un rimedio possibile e che Nordio ha citato sia alla Camera che al Senato è quello di fortificare l’uso delle intercettazioni preventive, «curate dalla polizia con l'avallo del magistrato, che sono segretissime, servono come spunto d'indagine e vengono conservate nella cassaforte di chi le ha autorizzate sotto la sua responsabilità». 

L’ipotesi intercettazioni preventive

La questione giuridica intorno alle intercettazioni preventive, però, è che si tratta di una invasione molto forte nella sfera della privacy dei cittadini.

Per questo, possono essere utilizzate dalle forze dell’ordine come mezzo di ricerca di una prova solo per alcuni tipi di reati gravi – in generale, reati con pena superiore ai 5 anni –, solo nel caso in cui ci siano già gravi indizi che il reato sia stato commesso e solo se siano indispensabili per procedere alle indagini. Inoltre, serve sempre l’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari.

Le intercettazioni preventive sono uno strumento di dubbia costituzionalità proprio perché vengono effettuate prima ancora che il reato sia stato commesso e prima ancora che una notizia di reato ci sia, ma solo sulla base di sospetti.

Questo strumento era stato concepito negli anni Settanta, durante gli anni dell’emergenza del terrorismo, e aveva come obiettivo di prevenire reati di terrorismo politico. All’epoca, nel vecchio codice di procedura penale, era previsto che, a richiesta del Ministro per l’interno, del prefetto, del questore o delle forze dell’ordine, il procuratore della Repubblica potesse autorizzare intercettazioni preventive per indagini di terrorismo. Questa stessa previsione, poi, era stata estesa anche ai reati di criminalità organizzata di tipo mafioso.

Nel nuovo codice di procedura penale, questa ipotesi è stata eliminata e trasferita nelle cosiddette disposizioni attuative, così da farle assumere un carattere assolutamente eccezionale.

Vista la loro natura assolutamente eccezionale, le intercettazioni preventive devono essere chieste dal ministero dell’Interno e autorizzate dall’autorità giudiziaria, ma soprattutto è espressamente stabilito che tutte le informazioni acquisite non possono essere utilizzate in un processo penale «fatti salvi i fini investigativi».

Oggi possono venire utilizzate solo per reati gravi di mafia o terrorismo, con ampliamento recente ai reati di terrorismo commessi mediante tecnologie informatiche. Questa specificazione è servita, infatti, a poter intervenire sul fenomeno dei cosiddetti “lupi solitari”, i terroristi isolati che si convertono alla causa fondamentalista via web e così organizzano gli attacchi.

L’utilizzo delle intercettazioni preventive solleva il problema della violazione delle liberà individuali dei cittadini, previste da tutti gli ordinamenti democratici e dall’articolo 15 della Costituzione. Per questo sono limitate a casi molto specifici, in cui il bilanciamento è tra la sicurezza nazionale e i diritti dei singoli e il primo prevale, visto il livello di pericolosità del potenziale reato.

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