Mi si nota di più se parlo o se non parlo? La giustizia è tema incandescente – ultimo argomento divisivo è l’abolizione dell’abuso d’ufficio – e ogni componente della maggioranza ha scelto la sua strada, e silenzi e parole vanno pesati e interpretati.

Non certo parco di dichiarazioni è stato il ministro della Giustizia Carlo Nordio, che da quando il suo ddl è stato approvato in consiglio dei ministri ha tolto il freno. Durante il fine settimana ha attaccato i magistrati dell’Anm, sostenendo che le loro critiche fossero indebite interferenze.

Nel corso della giornata di ieri ha rincarato la dose, spiegando che la sua riforma è solo all’inizio e che il prossimo passo sarà la riscrittura delle regole sulle intercettazioni per garantire «la libertà e la segretezza delle conversazioni tutelata dalla Costituzione».

Poi ad un convegno del Luiss Hub ha aggiunto l’ultima sferzata: «Sono stato in magistratura fino al 2017 e non ho mai visto un evasore in manette. O qualcosa non ha funzionato o si parte da un principio sbagliato».

E poi ancora un affondo ad una legislazione tributaria, strizzando l’occhio al «pizzo di Stato» evocato da Meloni: «Se un imprenditore onesto volesse pagare fino all'ultimo centesimo non ci riuscirebbe, perché qualche violazione verrebbe comunque trovata. Il sistema è pieno di contraddizioni». Un rullo di tamburi che dovrebbe precedere l’arrivo di un esercito, ma il rischio del ministro è di voltarsi e trovarsi solo.

I suoi affondi, che hanno ottenuto il risultato di dividere sì le opposizioni ma di compattare la magistratura associata, non hanno infatti incassato alcun appoggio. Né da palazzo Chigi, che è rimasto in aureo silenzio nonostante l’ondata di polemiche.

Né dalla gran parte della maggioranza parlamentare: nessun fiato da parte della Lega, pochissimi da parte di Fratelli d’Italia, dove la difesa d’ufficio del ddl è spettata per competenza al sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. Unici cori entusiasti sull’abolizione dell’abuso d’ufficio sono stati incassati da Forza Italia, che proprio sulla giustizia potrebbe puntare per tentare di tenere vivo il ricordo di Silvio Berlusconi nel suo elettorato, e Italia Viva.

Il silenzio della Lega

«Il ddl è solo un piccolo inizio, sono otto articoli...», minimizza una fonte leghista. L’ordine di scuderia è buttare acqua sul fuoco, ma la sensazione in casa Lega è che tanto clamore abbia più a che vedere con le intemperanze di Nordio che con la reale portata del disegno di legge. Al netto delle modifiche procedurali e del ritocco sulle intercettazioni, l’abolizione dell’abuso d’ufficio è l’unica vera novità e il partito di Matteo Salvini nemmeno la condivide del tutto.

Di qui le bocche cucite. Sulla giustizia, infatti, l’unica voce autorizzata a esprimere la linea è quella di Giulia Bongiorno, la potente presidente della commissione Giustizia al Senato e legale di Matteo Salvini, di cui lui si fida ciecamente.

Era lei la candidata leghista per il dicastero oggi ricoperto da Nordio, ma contro di lei avrebbe giocato l’antipatia della premier Meloni, che sarebbe figlia di una vecchia storia di Alleanza nazionale: il pasticcio della casa di Montecarlo, lasciata in eredità al partito da una nobildonna missina e finita svenduta al cognato di Gianfranco Fini, segnandone la fine della carriera politica. E la legale di Fini nei processi per riciclaggio era proprio l’attuale senatrice leghista, che però in parlamento era entrata con An nel 2006.

Le parole di Bongiorno, lette con la dovuta attenzione, sono una delle spie che hanno messo in allerta la maggioranza: «È pacifico che un cambiamento fosse necessario», ha detto alla Stampa dopo il via libera del ddl, ma attenzione: «Il ministro Nordio mi ha garantito che ci sarà una rivisitazione complessiva dei reati contro la pubblica amministrazione», perché «l'abrogazione dell'abuso d'ufficio è un punto di partenza e non di arrivo» e «occorre evitare rischi di interpretazioni estensive di altri reati».

Parole felpate ma precise, ma che contengono tutto lo scetticismo della Lega sull’abolizione del reato e le assicurazioni che il guardasigilli avrebbe dovuto dare pur di ottenere il via libera. Ovvero la promessa di rimodulare tutti i reati contro la pa, prevedendone un altro che copra almeno in parte la fattispecie che Nordio ha scelto di depenalizzare.

Non è un caso, allora, che si sia scelto di incardinare il disegno di legge alla Camera, dove la commissione è presieduta da Ciro Maschio, avvocato veneto di FdI, invece che al Senato, dove la direzione dei lavori sarebbe finita in mano proprio a Bongiorno. I lavori non saranno semplici: dovrebbero cominciare la prossima settimana e sono previsti un fiume di emendamenti.

Il parere del Csm

Meloni, intanto, osserva. Il clamore suscitato dalle sortite di Nordio avrebbe provocato una «conversazione di chiarimento» tra i due, di cui però non ci sono conferme e nessuno è disposto a dire una parola in più sulla questione.

Certo è che gli attacchi del guardasigilli alle toghe hanno colto tutti alla sprovvista: uno scontro con la magistratura associata non era certo nei programmi della premier, visto anche che il governo è reduce da un duro scontro con la magistratura contabile sul controllo del Pnrr. Inoltre, alzare così i toni per un ddl di portata tutto sommato modesta, ha portato più di qualcuno a palazzo Chigi a chiedersi cosa farà Nordio quando sarà il momento delle riforme davvero divisive come la separazione delle carriere.

Intanto, però, la questione non è certo chiusa qui. Dopo che erano trapelate indiscrezioni sul fatto che il Csm avrebbe aperto d’ufficio una pratica di parere sul ddl anche il se il governo non lo avesse formalmente chiesto, il consiglio ha diramato una nota ufficiale per avvertire che Nordio ha già informato «per le vie brevi» il vicepresidente Fabio Pinelli, che il ministero «chiederà al Csm un parere», «nell’ambito dei rapporti di leale collaborazione istituzionale».

Toccherà quindi alla sesta commissione, presieduta da Marcello Basilico della corrente progressista di Area, analizzare il testo ed esprimere i rilievi dell’organo di governo autonomo. Per ora nessun magistrato, almeno sulla stampa, si è espresso a favore del progetto, quindi il parere tecnico – per quanto non vincolante – peserà ancora di più: nel confermare i timori della categoria o sconfessarla.

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