Le sentenze n. 32 e 33 del 2021 della Corte costituzionale rappresentano il punto di approdo – inevitabilmente provvisorio – del lungo e frastagliato percorso verso il riconoscimento di piene tutele per le bambine e i bambini con genitori dello stesso sesso.

Iniziato nel 2014, con le prime sentenze del tribunale per i minorenni di Roma relative all’adozione del figlio del partner da parte del convivente dello stesso sesso (orientamento confermato fin dal 2016 dalla Corte di cassazione), questo percorso è stato al centro di un acceso dibattito in sede di approvazione della legge sulle unioni civili e ha conosciuto, negli anni successivi, significativi sviluppi nella giurisprudenza di merito e di legittimità.

Dalla trascrizione degli atti di nascita formati all’estero, fino alla formazione di atti di nascita con l’indicazione di due madri per minori nati in Italia, molti sono stati i tentativi di ritrovare, nelle pieghe del diritto vigente, la possibilità di garantire a queste bambine e a questi bambini uno status pienamente corrispondente alla loro identità personale, affettiva, sociale; e di esigere dai loro genitori l’adempimento dei doveri connessi alla responsabilità genitoriale.

Tentativi che, in giurisprudenza, hanno avuto alterna fortuna, conoscendo infine una battuta d’arresto tra il 2019 e il 2020 quando la Corte di cassazione, con una serie di pronunce, ha escluso – da un lato – la possibilità di trascrivere atti di nascita con l’indicazione di due padri (per minori nati all’estero a seguito del ricorso alla surrogazione di maternità) per contrarietà all’ordine pubblico (Cass. SS. UU. sent. n. 12193/2019) e – dall’altro – la possibilità di formare atti di nascita recanti l’indicazione di due madri, per minori nati in Italia a seguito del ricorso (all’estero) a procreazione medicalmente assistita con donazione di seme (Cass., sez. I civ., sentt. nn. 8029 e 7668 del 2020).

Dal canto suo, la Corte costituzionale ha escluso (con la sentenza n. 221/2019) l’illegittimità costituzionale del divieto di accesso alla p.m.a. per donne singole o coppie di donne, ritenendo tale scelta riservata alla discrezionalità del legislatore; e, con la sentenza n. 230/2020, ha escluso il carattere discriminatorio (e dunque costituzionalmente illegittimo) della clausola di equivalenza tra unioni civili e matrimonio, nella parte in cui esclude dal proprio ambito di applicazione le norme relative alla filiazione.

La costituzione dello status di figlio

In questo percorso si inseriscono, appunto, le sentenze n. 32 e 33 del 2021, che riguardano proprio la questione della costituzione dello status di figlio del nato (solitamente in Italia) a seguito di procreazione medicalmente assistita eterologa in coppia di donne e del nato (all’estero) a seguito di ricorso da parte di una coppia di uomini alla surrogazione di maternità, come noto vietata dall’articolo 12, comma 6 della legge n. 40/2004.

Le questioni oggetto delle decisioni – e le decisioni stesse – si pongono in prospettiva paido- o puerocentrica, piuttosto che adultocentrica. Esse riguardano cioè la tutela del preminente interesse del minore, piuttosto che la posizione del genitore intenzionale di veder riconosciuto il proprio status nei confronti del figlio o, ancora, il diritto di accedere a tecniche di procreazione assistita a oggi non consentite.

Questo rovesciamento di prospettiva ha assunto, nelle due sentenze, un’importanza non secondaria, consentendo alla Corte di correggere almeno parzialmente il tiro – rispetto ai precedenti richiamati – nella direzione di un più intenso riconoscimento dell’istanza di tutela delle bambine e dei bambini con due genitori dello stesso sesso.

Accanto a tale fattore, la presa di posizione della Corte risente anche dell’emersione sempre più frequente e decisa di tali istanze nella giurisprudenza di legittimità e di merito – chiaro segnale dell’urgenza del problema – come reso evidente dalle molte citazioni contenute nelle decisioni.

La discrezionalità del legislatore

La Corte dichiara entrambe le questioni inammissibili sussistendo, nella materia, un rilevante margine di discrezionalità del legislatore: tuttavia, e qui sta il cambio di passo rispetto al passato, le due decisioni rilevano e denunciano l’esistenza di un vuoto di tutela e, dunque, di un vulnus assai rilevante all’interesse del minore, sotto il profilo del necessario allineamento tra l’identità personale, affettiva e sociale del minore e la sua identità giuridica e, conseguentemente, dell’esigenza di dare riconoscimento giuridico al legame instauratosi con entrambi i genitori.

Da ciò consegue – con diversità di accenti nelle due decisioni, ma con eguale nettezza – la formulazione di un forte monito al legislatore, affinché provveda nella materia, nei tempi rapidi richiesti dall’urgenza dell’istanza di tutela e dalla sua attinenza a sfere assai delicate della dignità personale.

Pur riconoscendo l’esistenza di un ampio ventaglio di soluzioni possibili, la Corte non rinuncia a indicare al legislatore, seppur in via esemplificativa, alcune possibili linee di intervento: esse possono andare – nel caso della doppia maternità – dalla modifica della legge n. 40/2004 a una modifica delle norme codicistiche sul riconoscimento dei figli, oltre che nel senso di un rafforzamento – nell’interesse del minore – della disciplina dell’adozione in casi particolari.

Nel caso dei due padri – e, più in generale, della nascita a seguito di ricorso a surrogazione di maternità – la Corte si pone in linea con la propria precedente sentenza n. 272/17 e conferma che l’interesse del minore alla conservazione dello status deve entrare in bilanciamento con la considerazione delle modalità della nascita e dunque con il disvalore che l’ordinamento annette alla surrogazione di maternità. In conseguenza, lo strumento più adatto a dare riconoscimento al legame instauratosi con il genitore di intenzione è, secondo la Corte, l’adozione in casi particolari.

Anche nella sentenza n. 33, come già nella n. 32, la Corte denuncia tuttavia i molti limiti dell’istituto, che vanno dal carattere solo parziale degli effetti (lo status è costituito solo in relazione all’adottante, e non anche alla famiglia di origine di questi), dalla lunghezza della procedura e, infine, dalla necessità del consenso del genitore legale che, in caso di crisi della coppia, può sostanzialmente vanificare la tutela. Anche per questo, l’intervento del legislatore è ritenuto indifferibile e doveroso.

Nel lungo percorso verso il pieno riconoscimento della pari dignità sociale delle famiglie omogenitoriali – e soprattutto, delle bambine e dei bambini che in queste famiglie crescono – la palla passa così, adesso, al legislatore. Il campo e le regole del gioco sono però fissate dalla Corte con grande chiarezza così come, a ben vedere, la stessa durata della partita.

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