La conferenza stampa del Csm, «la prima della storia» l’ha descritta il vicepresidente Fabio Pinelli, si è quasi subito rivelata un boomerang.

L’obiettivo era presentare la relazione annuale sui lavori del Csm – quasi 230 pagine con il lavoro di tutte le commissioni – è il filo conduttore scelto da Pinelli era quello di presentare il suo consiglio come quello che ha fatto «recuperare efficienza» rispetto al quadriennio della vicepresidenza di David Ermini, terremotata dallo scandalo Palamara.

Esauriti i numeri e le slides sulla riduzione dell’arretrato, però, sono state le considerazioni successive di Pinelli ad aprire un caso politico con il Quirinale.

«Il Csm aveva perso la sua funzione di organo di alta amministrazione, assumendone una di impropria attività politica», e quasi di «terza camera», ha detto Pinelli. Invece, lui la avrebbe riportata a quella di «consiglio che fornisce servizi in tempi rapidi, così da recuperare anche il rapporto di fiducia coi cittadini».

Parole che forse, nell’intento iniziale, avrebbero dovuto essere una critica aspra alla precedente vicepresidenza – il laico Ermini era del Pd, Pinelli è laico eletto in quota Lega – ma in realtà coinvolgono in modo pesante il Quirinale.

Sergio Mattarella, infatti, è il presidente del Consiglio superiore della magistratura e ogni funzione del vicepresidente è a lui delegata. In altre parole, qualsiasi critica sulla gestione del Csm 2018-2022 investe direttamente il Colle, che ha avuto un ruolo fondamentale di guida dell’organo anche attraverso la presidenza pubblica del plenum proprio nei giorni difficili dello scandalo dell’hotel Champagne, allontanando l’ipotesi dello scioglimento del consiglio.

Il quirinale

La domanda, quindi, è arrivata spontanea: Mattarella, secondo Pinelli, avrebbe autorizzato il Csm a svolgere funzioni non costituzionalmente previste? Il vicepresidente, visibilmente imbarazzato, ha provato a rimediare al danno ma senza successo. «Il Colle non ha mai autorizzato funzioni diverse, ma si deve ricordare che al Csm è accaduto qualcosa, con cinque consiglieri dimessi e il rischio scioglimento. Non dirlo sarebbe ipocrita», e di qui sarebbe sorta a sua «opportuna riflessione sulla natura del consiglio», visto che il precedente avrebbe avuto un «deragliamento» non solo nella gestione dei lavori, ma anche «nei pareri politici».Poi, ha concluso, rincarando la dose, «nell’ultima parte della consiliatura, il Csm ha perso l’orientamento rispetto alle sue prerogative».

In altre parole, nella visione di Pinelli, il Csm deve avere esclusivamente una funzione di alta amministrazione, mentre il compito di orientamento politico spetta all’Anm, con un ridimensionamento de facto del Consiglio. Una formula, questa, che punterebbe a orientare il Csm verso pareri cauterizzati da valutazioni di opportunità sulle leggi promosse dal centrodestra, togliendo una potenziale spina nel fianco al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, quando la dialettica tra politica e magistratura si riaccenderà su intercettazioni alla separazione delle carriere.

Se la volontà di Pinelli era quella di distendere i rapporti tra Csm e l’attuale maggioranza politica, l’effetto boomerang è stato però quello di rischiare di aprire uno scontro istituzionale senza precedenti proprio con il Colle. Le sue critiche al consiglio precedente, infatti, adombrano di fatto una responsabilità del Colle nell’aver permesso al passato Csm di svolgere un presunto ruolo che costituzionalmente non gli era proprio. Non un’accusa da poco, che però per ora il Quirinale non ha voluto commentare, per evitare di aprire fronti. L’intento sembrerebbe quello di non buttare benzina sul fuoco di una polemica che ha già iniziato a dispiegare i suoi effetti e in questa direzione in serata è arrivato anche un comunicato chiarificatore dello stesso Pinelli: «Non ho mai affermato che il Consiglio abbia in passato tradito il proprio mandato costituzionale, cosa che peraltro sarebbe stata impedita dall’intervento del Presidente della Repubblica». Acqua tardiva su un fuoco ormai acceso. I membri del consiglio accusato da Pinelli hanno infuocato la chat che era rimasta silenziosa per mesi ed Ermini, chiamato in causa, ha parlato di «accuse gravissime» e che «tutte le nostre scelte sono sempre state effettuate avendo come punto di riferimento il Quirinale e la Costituzione».

Le firme contro

Attenzione, però: «La partita non è il passato, ma il futuro del consiglio nella sua funzione consultiva e la volontà di Pinelli di creare un asse con il governo», è la lettura di un togato, visto che la maggioranza starebbe lavorando a una proposta di legge che circoscriva nettamente le prerogative consultive del Csm. Per questo, dopo un pomeriggio concitato, ben tredici togati su venti hanno firmato un comunicato in cui si sono dissociati dalle parole di Pinelli: hanno firmato tutti gli esponenti di Area, Unicost, Magistratura democratica e l’indipendente Roberto Fontana, ma anche il togato di Magistratura indipendente Dario Scaletta. Una firma pesantissima, questa, perchè mostra, per la prima volta, come anche la corrente conservatrice (che ha quasi sempre votato in modo identico ai laici di centrodestra in plenum) sia sempre più in difficoltà nell’avvallo delle iniziative del vicepresidente. «Non sappiamo su quali basi fattuali e giuridiche il vice presidente fondi tali discutibili affermazioni. È certo che noi non le condividiamo minimamente», si legge nel comunicato, che prende le distanze dalla lettura del ruolo costituzionale del Csm e dal giudizio sull’operato del precedente consiglio. Il punto, viene spiegato, è che Pinelli ha parlato al plurale, sottintendendo che le sue considerazioni fossero quelle del plenum mentre invece nulla del genere era mai stato condiviso. Anzi, inizialmente alla conferenza stampa avrebbero dovuto partecipare anche i presidenti delle commissioni. Poi Pinelli avrebbe cambiato idea, per evitare che le domande dei cronisti stuzzicassero risposte problematiche ai singoli consiglieri.

L’esito del one man show tuttavia è stato anche peggio, e lo scivolone rischia di trasformare Pinelli nell’ennesimo problema istituzionale del governo Meloni. Infatti, dalla maggioranza – tranne un solitario Maurizio Gasparri – si è registrato solo silenzio.

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