Il caso dei verbali segreti della loggia Ungheria nasce perché il pm milanese Paolo Storari riteneva ci fosse un’inerzia della procura nell’aprire un’inchiesta sulle parole di Piero Amara. Ora, a distanza di una settimana i fascicoli aperti non si contano. Sicuramente sono al lavoro le procure di Roma, Milano, Brescia e Perugia: chi per verificare la veridicità delle dichiarazioni dell’ex legale di Eni, Amara, chi per la fuga di notizie.

I magistrati di Roma hanno provato a ricostruire la filiera che ha portato i verbali segreti a finire nelle redazioni dei giornali e al Consiglio superiore della magistratura. Per farlo hanno sentito Piercamillo Davigo, l’uomo chiave nell’indagine sulla sua segretaria Marcella Contrafatto, che avrebbe diffuso anonimamente i verbali. Il magistrato ormai in pensione avrebbe confermato di aver ricevuto i verbali dal pm Storari, però lo scambio non sarebbe avvenuto – come inizialmente ipotizzato - a Roma, ma a Milano nell’abitazione privata di Davigo.

Cosa rischia Davigo

Un ulteriore elemento che sarebbe emerso riguarda le possibili responsabilità penali a carico di Davigo. Nel caso in cui avesse accettato di ricevere i verbali estratti dal fascicolo del pm, firmati e contrassegnati, nei suoi confronti avrebbe potuto scattare un’indagine per ricettazione. Invece, i fatti si sarebbero svolti diversamente: Storari, infatti, avrebbe dato a Davigo i verbali in formato word presenti sul suo computer. Sembra un cavillo visto che il contenuto dei documenti è comunque identico, ma se così fosse avrebbe un peso sostanziale: in questo caso, infatti, non sarebbe configurabile il reato di ricettazione. Quanto a quello di violazione di segreto da parte di Storari, come più volte ribadito da Davigo il segreto istruttorio non sarebbe opponibile a un consigliere del Csm in carica. A carico di Davigo rimarrebbe dunque un’ultima ipotesi: quella di diffusione del contenuto di un atto segreto. Su questo punto la vicenda si fa più incerta.

Secondo quanto emerso Davigo ha sicuramente parlato dei verbali separatamente coi membri del comitato di presidenza del Csm: David Ermini, il pg di Cassazione, Giovanni Salvi, e il primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio. Se così fosse, Davigo potrebbe aver agito correttamente. Tuttavia Davigo si sarebbe limitato ad avere con loro comunicazioni «informali» e non avrebbe consegnato loro i verbali, impedendo così una qualsiasi iniziativa. A sparigliare le carte, però, è un’altra circostanza: Davigo avrebbe parlato anche con Giuseppe Cascini, Giuseppe Marra e il consigliere laico Fulvio Gigliotti, che è l’unico a confermare la notizia. Dopo il pensionamento di Davigo, a Gigliotti peraltro è stata assegnata la funzionaria Marcella Contrafatto, la donna cioè al centro del giallo dei verbali inviati alla redazioni.

Intanto a Milano

L’altro fronte riguarda il merito delle dichiarazioni dell’accusatore Amara. A gennaio 2020, in gran segreto i magistrati di Perugia, Gemma Miliani e Mario Formisano, titolari dal 2019 del fascicolo d’inchiesta per corruzione sul magistrato ed ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara, hanno incontrato i colleghi della procura di Milano titolari del fascicolo sul presunto depistaggio ordito da Eni per far saltare il processo sul caso Nigeria e quello Saipem - Algeria. La data dell’incontro è importante, perché nei due mesi precedenti i pm di Milano Laura Pedio e Storari avevano riempito centinaia di pagine di verbali con le dichiarazioni dell'avvocato Amara.

Un altro incontro tra toghe milanesi e perugine dello stesso tipo è datato maggio dello stesso anno. Sono stati incontri di coordinamento per comprendere come affrontare le gravi questioni emerse dalle parole di Amara, innanzitutto sul club di potenti «Ungheria» che sarebbe nato per gestire nomine, consulenze, potere.

Anche a settembre del 2020, dopo l'arrivo a luglio del nuovo capo dell'ufficio Raffaele Cantone, c'è stato un altro incontro e a ottobre le due procure avrebbero lavorato congiuntamente su almeno un atto d’indagine. L'unica cosa sulla quale si ha una certezza è che l'arrivo in Umbria degli atti utili per tentare di provare l'esistenza di un’associazione segreta è datato gennaio 2021. Ovvero un anno dopo gli interrogatori dell’ex legale di Eni.

Contatti preliminari che potrebbero cambiare la narrazione sull'inerzia di sei mesi che avrebbe avuto la l’ufficio milanese nell’indagare su fatti, circostanze e soprattutto nomi emersi dagli interrogatori di Amara che hanno portato il pm Storari a passare i verbali a Davigo nel marzo 2020.

Tocchera anche alla procura generale di Milano chiarire i contorni della vicenda: si è attivata sui profili disciplinari chiedendo una relazione al procuratore capo Francesco Greco. Allo stesso le procure di Brescia e Roma accerteranno tutti gli eventuali reati. Storari ha confermato che è intenzionato a parlare, verrà ascoltato sabato dalla procura capitolina. Ma in questo cortocircuito giudiziario si aggiunge un ulteriore problema: la competenza territoriale, perché se lo scambio con Davigo è avvenuto a Milano titolari dell’indagine saranno i magistrati di Brescia.

Per Storari, che stava indagando fino a due settimane fa proprio con Pedio sul presunto depistaggio ai danni di De Pasquale nel processo nigeriano (e in quello Saipem Algeria), Amara e l’altro grande accusatore di Eni, Vincenzo Armanna, sono calunniatori ancora in attività nonostante condanne (solo per Amara, per corruzione) e processi subiti. Tutti e due hanno riempito pesanti verbali davanti ai magistrati milanesi, ma Storari avrebbe trovato le prove delle loro menzogne. E su questo si giocherà la credibilità di tutti, a partire dal capo della procura meneghina Francesco Greco.

Durante l’ultimo plenum del Csm Ermini ha parlato di «momento difficile ma voglia riscatto per le toghe e il Csm». A margine i quattro consiglieri di Magistratura Indipendente hanno depositato una richiesta per chiedere al Csm di costituirsi parte offesa in tutti procedimenti penali in corso a Roma, Milano e Perugia sui verbali segreti di Amara. Il Csm è «oggetto di una inquietante e oscura attività di dossieraggio e delegittimazione» volta a «influenzare l'organo» e a «screditarne l'autorevolezza».

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