Se è vero che ancora esiste un cortocircuito tra informazione, politica e magistratura, la realtà si sta incaricando di mostrare il vero volto di chi davvero soffia sul fuoco. Il consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge del guardasigilli Carlo Nordio, che modifica i reati di abuso d’ufficio, stringe sulla pubblicazione delle intercettazioni e modifica alcune prerogative dell’imputato nella fase delle indagini preliminari. «Un omaggio a Berlusconi», è stato definito da via Arenula, ricordando quanto il defunto Cavaliere abbia sempre invocato una riforma della giustizia.

Eppure, considerare questa riforma un omaggio al defunto leader di Forza Italia, che nel tempo si è reso protagonista di uno scontro polarizzante con la magistratura, non contribuisce a distendere gli animi e dare il giusto rilievo istituzionale all’iniziativa del ministero. Un disegno di legge «in senso garantista», aggiunge Nordio, che a polarizzare il dibattito invece sembra tenere molto.

Tanto che prima del consiglio dei ministri ha attaccato frontalmente le toghe che avevano considerato «ingiustificabile» la cancellazione dell’abuso d’ufficio: «Inammissibile. Il magistrato non può criticare le leggi, come il politico le sentenze». Un’allergia alle critiche che non aiuta a distendere il clima e ha già suscitato la rabbia dell’Anm: «Partecipare al dibattito pubblico non può essere una interferenza».

La riforma

Tre le questioni problematiche. L’abuso d’ufficio è un reato difficile da dimostrare, già modificato quattro volte nel recente passato e contestato dai sindaci come prima causa del cosiddetto “pericolo della firma”. Certo non ha dato buona prova di sè, generando grande clamore in danno dell’immagine degli amministratori pubblici nella fase delle indagini preliminari, per poi progressivamente sgonfiarsi fino a ridurre a una manciata i casi all’anno in cui si arriva al dibattimento.

Eppure, cancellarlo sgrava la condotta di un pubblico ufficiale che violi le regole procurando intenzionalmente un vantaggio ingiusto o arrecando ad altri un danno. Abrogarlo, inoltre, viola la Convenzione Onu di Merida ratificata nel 2009 e quindi apre ad un possibile vizio di costituzionalità. Esisteva l’ipotesi di modificarlo, circoscrivendo una fattispecie effettivamente troppo vaga e probabilmente anche abusata, ma Nordio ha preferito lo stralcio: vedremo se reggerà alla prova delle camere.

Il ddl limita poi la pubblicazione del contenuto delle intercettazioni nella fase delle indagini preliminari, permettendola solo nel caso in cui «è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso di un dibattimento».

In altre parole, rimangono escluse quelle contenute nella richiesta di misura cautelare del pm che non siano anche riportate nella motivazione del gip, mentre rimangono nel limbo quelle pur penalmente rilevanti ma non espressamente “utilizzate” nel dibattimento.

Il senso della previsione dovrebbe essere quello di tutelare l’indagato dalla pubblicazione durante le indagini di intercettazioni – l’atto certamente più controverso e fraintendibile se decontestualizzato – che non siano passate al vaglio di un giudice terzo.

L’effetto di inibire la pubblicazione indebita di intercettazioni, tuttavia, era già stato ottenuto con la riforma Orlando del 2020, rafforzata anche dalla riforma Cartabia. Aggiungere questa ulteriore limitazione, invece, sembra avere un obiettivo ulteriore: escludere la stampa e quindi la pubblica opinione dalla conoscenza degli atti, anche se penalmente rilevanti. La rilevanza penale, infatti, in questo modo viene superata dalla strategia processuale di utilizzare o meno l’intercettazione. 

La sensazione che si tratti di un manifesto per inibire le procure più che una norma di vero presidio, poi, è il fatto che manchi la sanzione: la conseguenza, infatti, è l’illecito disciplinare. Ma questa è solo la prima parte di una più compiuta riforma delle intercettazioni che andrà di pari passo con quella del codice di procedura penale, ha promesso il ministro.

Al netto della polemica, il ddl introduce anche norme di concreta garanzia per l’indagato: un maggior controllo sulle misure cautelari in carcere, con l’obbligo di interrogatorio preventivo invece che successivo, il deposito di tutti gli atti da parte de pm così che l’indagato possa prenderne visione e il vaglio di un collegio di tre giudici.

Quest’ultima misura, però, entrerà in vigore tra due anni, per permettere nuove assunzioni e forse questa è la parte più onesta del ddl: per una riforma che garantisca di più i cittadini, sono necessari investimenti e assunzioni. La ricetta più vecchia del mondo, che metterebbe d’accordo tutte le parti.

Invece, questo ddl tradisce l’orizzonte Nordio: in sette mesi, la sua prima iniziativa riguarda la depenalizzazione di un reato che riguarda gli amministratori e una stretta sulla stampa. Tutto il resto forse arriverà, ma le priorità sono chiare e anche la sfiducia nei confronti della magistratura di cui ha fatto parte.

Proprio nel giorno in cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha parlato ai giovani magistrati chiedendo loro «riservatezza nelle decisioni», «sobrietà nei comportamenti» e di farsi guidare nell’attività decisionale da «consapevolezza e responsabilità». Farlo sarà ancora più difficile, in un clima che trasforma la giustizia in opposti estremismi.

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