In Italia la giuria popolare nei processi penali esiste solo per reati particolarmente gravi come i fatti di sangue: l’imputato viene giudicato da un collegio costituito da due giudici togati e sei giudici cosiddetti popolari, estratti a sorte da una lista a cui può iscriversi chiunque abbia i requisiti, ovvero il godimento dei diritti civili e politici, età non inferiore a 30 anni e non superiore a 65 e possesso della licenza media.

Per un assurdo cortocircuito nell’interpretazione della legge - la numero 287 del 1951 che ha introdotto la figura dei giudici popolari – in Sicilia sono già saltati due processi di condanna e rischia di avvenire anche in un altro caso, se il ministero della Giustizia non si attiverà con una interpretazione autentica della legge.

I due casi

I due casi sono accaduti presso le corti d’assise di Palermo e di Messina e a sollevarli è un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia, Carlo Nordio, firmata dai senatori del gruppo Autonomie, la siciliana Dafne Musolino e gli altoatesini Julia Unterberger e Luigi Spagnolli.

Nel caso di Messina, l’imputato era stato condannato per aver volontariamente trasmesso l’Aids alla sua vittima, un’avvocata, morta in seguito al contagio. Il 22 dicempre il grado d’appello ha cancellato la condanna a 22 anni a Luigi De Domenico, imputato per omicidio volontario per la morte della compagna, a cui aveva trasmesso la sieropositività senza però mai rivelarglielo. 

Nel caso di Palermo, invece, la corte d’assise aveva erogato una condanna per un caso di omicidio correlato a fatti di mafia. Invece Piero Erco, che era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’imprenditore Vincezo Urso nel 2009, è tornato in libertà il 10 gennaio ed è stata annullata anche la condanna al suo complice che avrebbe dovuto scontare 25 anni di carcere. 

In entrambi i casi, le due corti d’assise d’appello hanno annullato il processo sul presupposto che un giudice popolare nel caso di Messina e due nel caso di Palermo avessero superato i 65 anni di età al momento della pronuncia della sentenza.

Risultato: processi da rifare con nuove sofferenze per le parti civili, costi di causa da sostenere e costi della collettività nell’istruire dall’inizio i processi, che inevitabilmente si allungheranno in un cortocircuito insensato.

L’interpretazione della norma

Questo cortocircuito che ha fatto saltare ben due sentenze di primo grado già emesse è dovuto ad una peculiare interpretazione della legge sui giudici popolari. Le corti d’assise d’appello siciliane, infatti, hanno accolto il ricorso dei difensori degli imputati secondo cui il requisito di rimanere entro i 65 anni di età non valga solo per il momento dell’assunzione dell’incarico, ma che debba perdurare per tutta la durata del processo.

«La predetta legge prevede espressamente l’obbligo di sostituzione dei giudici popolari solo in caso di loro assenza, impedimento o per casi di astensione o ricusazione, mentre non c’è alcuna disposizione normativa che prevede l’obbligo di sostituzione dei giudici che nel corso del dibattimento abbiano superato il limite del sessantacinquesimo anno d’età», scrivono però i senatori nell’interrogazione.

Tradotto: la legge, ma anche i lavori parlamentari che hanno preceduto la sua approvazione, hanno previsto che il requisito dell’età doveva ricorrere solo al momento dell’assunzione dell’incarico. Tuttavia, i giudici siciliani si sono uniformati a una sentenza del 1998 che interpretava la legge nel senso del perdurare del requisito anche durante il processo – interpretazione «errata e palesemente forzata», secondo i senatori – e hanno annullato le due condanne, costringendo quindi gli imputati a un nuovo processo di primo grado e le famiglie delle vittime a rivivere il dolore.

Rischia di succedere ancora

Il rischio che questa giurisprudenza si consolidi produce una conseguenza che rischia di essere immediata e di inficiare un altro processo per femminicidio, commesso a Messina durante la pandemia.

In quel caso la vittima dell’omicidio era una giovanissima universitaria specializzanda in medicina. La giovane è stata uccisa il 31 marzo 2020 dal fidanzato, un collega universitario, che l’ha strangolata al culmine di una lite e poi ha chiamato i carabinieri.

Il ragazzo è stato condannato all’ergastolo nel luglio scorso dalla corte d’assise di Messina, ma anche questa sentenza potrebbe venire annullata perchè nel collegio dei giudici un giudice popolare aveva superato i 65 anni nel corso del processo. I suoi avvocati difensori hanno sollevato questo argomento nel ricorso d’appello che chiede l’annullamento della sentenza e, vista la giurisprudenza sul tema della corte messinese, ci sono ottime possibilità che venga accolto.

La soluzione

Per questo i senatori hanno proposto interrogazione al ministro Nordio, chiedendo al ministro «di disporre una verifica per comprendere come ciò sia potuto accadere» e di intervenire con urgenza «per scongiurare, anche mediante un provvedimento di interpretazione autentica, che ciò possa verificarsi ancora».

La senatrice siciliana Musolino spiega che «la giustizia deve avere il carattere della certezza, sia per imputati che per le vittime, e quando si consente un deragliamento è lo stato di diritto a deragliare. L’interrogazione è tesa a ripristinare il canone di certezza: può essere sia in favore dell’interpretazione delle corti che in favore di quella che noi riteniamo sia stata la volontà del legislatore, ma è fondamentale che si evitino discrasie e pronunce contraddittorie, perchè si tratta di una grave offesa al sistema giudiziario e a chi ne viene coinvolto, sia imputati che parti offese, soprattutto per fatti estremamente gravi».

L’auspicio è che il ministero è di intervenire con una legge di interpretazione autentica, che ha efficacia retroattiva, sulla vecchia legge del 1951 che espliciti come il requisito dei 65 anni di età per i giudici popolari sia richiesto solo al momento dell’apertura del processo e non anche durante il dibattimento. Altrimenti, il rischio è che anche altri processi già conclusi vengano annullati e tutti per reati gravi o gravissimi, vista la peculiare competenza delle corti d’assise e d’assise d’appello.

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