I tempi stanno cambiando, tra i muri stuccati di palazzo Spada. Il nuovo presidente del Consiglio di Stato, Luigi Maruotti, ha fatto approvare al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa una delibera che fissa limiti stringenti, controlli e obblighi di trasparenza sulle docenze delle toghe amministrative nelle scuole di alta formazione. La decisione punta a tutelare i giovani che tentano il concorso per diventare consigliere di Stato e anche la produttività dei magistrati in quella che dovrebbe essere la loro attività principale in Consiglio di Stato, ma è stata accolta con polemiche interne. Il sottinteso, infatti, è che le regole ai corsi rischiano di limitare i guadagni extra che i consiglieri fatturano grazie alle docenze nelle scuole di alta formazione.

Attualmente esiste un florido mercato di scuole di alta formazione giuridica per preparare i laureati ai concorsi pubblici. Un mercato fiorito tra le maglie della normativa fissata nel 2001 con corsi molto costosi, che in alcuni casi adottano l’escamotage di far pagare una tariffa fissa per le lezioni e poi un extra per la correzione delle simulazioni d’esame.

La delibera prevede che i magistrati debbano trasmettere ogni sei mesi al Consiglio di presidenza una relazione nella quale espongono «le giornate e le ore di lezione svolte e il numero di elaborati che eventualmente abbiano corretto, oltre ai compensi eventualmente percepiti a qualsiasi titolo dalla società conferente».

Inoltre «il numero complessivo di coloro che seguono il corso» in una scuola anche in modalità telematica «non può essere superiore a 150 persone», che si riduce a 50 per i magistrati che tengono corsi privati in modo autonomo. Proprio questo limite, che permette le lezioni da remoto ma fissa un numero massimo di studenti, è stato vissuto come il più penalizzante.

Viene poi previsto che le scuole debbano consentire l’iscrizione a tariffa agevolata «non superiore ad un terzo di quella ordinaria» o a titolo gratuito ad una quota di studenti con i requisiti per essere esentati dalle tasse universitarie. L’obiettivo è quello di permettere l’accesso anche a chi non può permettersi per intero rette di oltre 2500 euro, ma anche di salvaguardare la qualità dei corsi, che in passato avevano visto la creazione di “classi” di alcune centinaia di iscritti tutti insieme.

Inoltre, la delibera impone una serie di vincoli alle scuole: la quota di iscrizione deve essere «omnicompensiva», quindi basta con le richieste di quote extra per la correzione dei temi, e «conferita unicamente con bonifico bancario». Un modo per impedire i pagamenti in nero.

I limiti ai magistrati

Limiti stringenti sono stati posti anche per la durata degli incarichi dei magistrati, che vengono chiamati a insegnare con compensi che in alcuni casi superano i 40mila euro annui e che si sommano allo stipendio medio da consigliere che si aggira tra i 150 e i 170 mila euro l’anno.

Le docenze non potranno essere autorizzate per più di un anno e «per un impegno superiore ai 40 giorni», per un massimo di 5 ore al giorno. Inoltre, non sarà più possibile insegnare all’università e contemporaneamente tenere corsi preparatori alle professioni pubbliche. Infine, i magistrati hanno il divieto di fare pubblicità, anche online ai corsi.

In caso di violazione, l’autorizzazione a tenere le lezioni sarà sospesa e scatterà il procedimento disciplinare. «In un regime permeabile ci sono stati degli abusi, non si è riusciti a separare la figura dell’imprenditore da quella del magistrato docente», ha ammesso il consigliere Roberto Lombardi durante il dibattito in Consiglio.

Di qui l’irrigidimento delle regole, che Maruotti ha spiegato così: «L’insegnamento è una attività nobile», ma va contemperata con «l’esigenza di trasparenza», di «tutela dell’immagine della magistratura amministrativa» e di «salvaguardia della dignità degli studenti, tutelando anche i meno abbienti, evitando atteggiamenti speculativi».

La delibera ha prodotto un terremoto interno, con polemiche e critiche, tanto che in Consiglio di presidenza si è deciso di votare a scrutinio segreto. Fonti del Consiglio di Stato parlano di alcuni magistrati con una consolidata attività di docenze pronti alle dimissioni.

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