«Non c’è nulla di offensivo», è la linea del governo nel difendere la scelta di introdurre i test psicoattitudinali per l’accesso alla magistratura. Eppure, l’iniziativa è stata accolta come una provocazione dalla categoria, che ha già serrato i ranghi: tutti i consiglieri togati hanno chiesto l’apertura di una pratica al Csm e dentro l’Associazione nazionale magistrati si è già iniziato a parlare di sciopero, che verrà valutato alla prossima riunione del 6 aprile. «È una norma simbolo, lo scopo era creare la suggestione nell'opinione pubblica che i magistrati hanno bisogno di un controllo psichico», è stato il commento del presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia.

Certo è che la trovata del governo, che ha accolto due pareri di Camera e Senato in questa direzione, è diventata una perfetta calamita mediatica per spostare l’attenzione dallo scontro latente tra la premier e Matteo Salvini e sulle questioni giudiziarie della ministra del Turismo Daniela Santanchè, su cui pende una mozione di sfiducia delle opposizioni che arriverà in aula il 3 aprile, insieme al proseguo della discussione di una mozione analoga nei confronti del leader leghista.

Il testo non c’è

Eppure, anche dentro l’esecutivo, la scelta di introdurre i test psicoattitudinali è stata pratica tutt’altro che semplice: il consiglio dei ministri si è prolungato oltre l’orario previsto, il contenuto del decreto è stato limato e annacquato rispetto alle bozze circolate alla vigilia e, a 24 ore di distanza, il testo non è ancora leggibile. A scoprirlo è stato il solito Enrico Costa - attentissimo alla questione perchè gemella del decreto sulla valutazione dei magistrati, da lui voluto nella riforma Cartabia – che ieri ha spiegato di aver chiesto il testo ma «non c’è, non esiste, non è disponibile».

In altre parole, per ora si sa solo ciò che ha reso noto in conferenza stampa il ministro della Giustizia Carlo Nordio, insolitamente sulla difensiva nello spiegare i contenuti del decreto ancora fantasma. Non è un mistero, infatti, che il pallino dei test alle toghe fosse del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l’ex magistrato Alfredo Mantovano, che già una volta aveva tentato di inserire in un cdm questo decreto, ma in quell’occasione incontrando l’ostruzionismo di Nordio. Il guardasigilli, infatti, aveva già smentito alla magistratura associata le voci sui test psicoattitudinali e non era disposto a rimangiarsi la parola. 

Per circumnavigare Nordio, sono stati approvati due pareri parlamentari da usare come pezze d’appoggio per un decreto ad hoc ulteriore ai decreti attuativi della riforma dell’ordinamento giudiziario e che secondo l’Anm è «in eccesso di delega rispetto alla riforma Cartabia, che di test psicoattitudinali non parla».

Dunque, ad ora, le uniche certezze sono che il sistema entrerà in funzione nel 2026 e che sarà composto di due parti. Dopo le prove scritte, il candidato dovrà svolgere un test scritto, individuato dal Csm ma che il ministro vorrebbe simili ai cosiddetti “Minnesota”, cui oggi vengono sottoposti gli agenti delle forze dell’ordine. Si tratta di un test sviluppato negli Stati Uniti negli anni Quaranta per valutare la personalità, composto da 567 domande a risposta multipla, a cui la persona deve rispondere vero o falso a seconda che consideri l'affermazione prevalentemente vera o prevalentemente falsa. Questo test scritto sarà la base del colloquio psicoattitudinale che avverrà in sede di prova orale. Per sostenerlo, il Csm dovrà nominare un gruppo di docenti universitari in materie psicologiche che faranno parte della commissione giudicante gli aspiranti magistrati. In ogni caso, il colloquio sarà diretto dal presidente della commissione esaminatrice, alla quale è demandato in maniera collegiale il giudizio finale sul complesso delle prove.

In sostanza – a differenza di ciò che prevedevano le prime bozze - tutto dovrebbe rimanere sotto l’egida del Csm e per questo il ministro ha rifiutato qualsiasi accusa di ingerenza dell’esecutivo nelle prerogative del sistema giudiziario.

Si muove il Csm

Il decreto sui test psicoattitudinali si sta trasformando in un banco di prova per nuove geometrie anche al Csm, i cui consiglieri fino ad oggi erano rimasti sostanzialmente silenti su questioni che riguardavano provvedimenti del governo.

Nei giorni scorsi i due laici del Pd e del Movimento 5 Stelle e tutti i togati – dai progressisti ai conservatori di Magistratura indipendente, fino a qui in sintonia coi laici di centrodestra – hanno promosso una pratica in Sesta commissione, sottolineando l’incostituzionalità della previsione, visto che l’articolo 106 della Carta prevede che alla magistratura si acceda solo per concorso.

Ieri, invece, si sono mossi proprio sei i laici di centrodestra, chiedendo al comitato di presidenza l’apertura di una “contro-pratica” che promuova uno studio comparato «per analizzare l'eventuale utilizzo e le modalità attuative dei test psicoattitudinali per l'accesso alla magistratura dei principali paesi europei ed extraeuropei». L’intento è quello di depotenziare le critiche: se risultasse che all’estero i test alle toghe sono prassi, si indebolirebbero le critiche di merito – anche se non quelle di incostituzionalità – delle toghe.

Sulla questione e in assenza di un testo chiaro, tuttavia, gli interrogativi rimangono molti: il test sarebbe un una tantum, ma non sono chiari i parametri valutativi, il grado di oggettività che può garantire e quanto pesi nell’esame complessivo del candidato.

Indietro, invece, rimangono i problemi strutturali della giustizia, su cui Nordio si è trovato a rispondere anche ieri nel question time in aula: lo stato delle carceri, dove si è registrato il ventisettesimo suicidio dall’inizio dell’anno, il problema del sovraffollamento e delle misure alternative alla detenzione; lo smaltimento dell’arretrato imposto dal Pnrr e dai risultati incerti; la digitalizzazione ancora non compiuta con un applicativo realizzato dal ministero ma ancora poco stabile, come segnalato da molti uffici. Certamente il ministero può lavorare su più dossier in contemporanea, altrettanto certo è che fino ad oggi in consiglio dei ministri e in aula sono arrivati solo quelli a maggior tasso polemico ma di minor impatto sui problemi ormai endemici del settore giustizia.

© Riproduzione riservata