Ora che il nuovo piano strategico vaccinale anti Covid, voluto da Mario Draghi, pare prevedere la vaccinazione «all'interno dei posti di lavoro, a prescindere dall'età» e il Ministro del Lavoro annuncia l’arrivo di un nuovo protocollo con le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, per organizzare la somministrazione dei vaccini, ritornano attuali le discussioni sull’obbligatorietà o meno del vaccino nei luoghi di lavoro.

E’ obbligatorio il vaccino nei luoghi di lavoro? Cosa accade se il dipendente rifiuta il vaccino? E se il dipendente rifiuta il vaccino e poi si ammala di Covid sul lavoro gli verrà riconosciuto l’infortunio?

Fra gli addetti ai lavori negli ultimi tre mesi non si è parlato di altro, ma se fino ad ora la discussione, in mancanza di dosi sufficienti, è apparsa speculativa, da domani potrebbe non essere più tale.

E’ obbligatorio il vaccino sul lavoro? Cosa accade se il dipendente rifiuta il vaccino?

Le previsioni di legge

Oggi il legislatore non ha previsto un generale obbligo vaccinale anti Covid al contrario del passato, quando con il decreto legge 7 giugno 2017, n. 73 (c.d. “decreto vaccini” o “decreto Lorenzin”) sono state introdotte dieci vaccinazioni obbligatorie per i minori di età compresa tra zero e sedici anni e quattro vaccinazioni raccomandate, con sanzioni in caso di inosservanza dell’obbligo (per i minori in età prescolare è prevista l’esclusione da asili nido e scuole dell’infanzia, mentre per i minori in età scolare fino a sedici anni è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria fino a un massimo di 500 euro).

La “scelta di non scegliere” del nostro legislatore ha dato il via ad un dibattito infinito sull’obbligatorietà dei vaccini anti Covid nei luoghi di lavoro, specie in quelli più esposti a rischi di contagio, come ospedali ed RSA. Il “pomo della discordia” è il comma secondo dell’art. 279 D. Lgs. 2008 n. 81 (Testo Unico Sicurezza), che stabilisce: «Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali: a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all'agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente; b) l'allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell'articolo 42».

L’art. 42 del Testo Unico Sicurezza sancisce che se il lavoratore viene valutato inidoneo alla mansione specifica viene adibito, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori. Se non può essere collocato in altre mansioni, ove l’inidoneità sia temporanea, allora il lavoratore viene sospeso senza retribuzione, ma non perde il posto di lavoro; se l’inidoneità è permanente può essere licenziato.

Secondo alcuni l’art. 279 del Testo Unico Sicurezza avrebbe introdotto l’obbligatorietà dei vaccini sui luoghi di lavoro, con possibilità in caso di rifiuto del vaccino di licenziamento per inidoneità alla mansione.

C’è chi è giunto alle medesime conclusioni in base all’art 2087 del Codice Civile, che sancisce il generale obbligo di tutela della salute dei lavoratori. Altri ancora hanno fondato l’obbligatorietà del vaccino per i lavoratori in base all’art. 20 del Testo Unico Sicurezza, che obbliga i prestatori di lavoro all’osservanza di qualsiasi misura di sicurezza prevista dalla migliore scienza.

Ma più di una voce fuori dal coro ha dubitato sia dell’esistenza di un obbligo di vaccinarsi, sia  della possibilità di licenziare il dipendente per inidoneità alla mansione ove lo stesso rifiuti il vaccino.

Secondo costoro, l’art. 279 co 2 del Testo Unico Sicurezza non riguarderebbe tutti gli ambienti di lavoro, ma solo quelli in cui l’agente patogeno è connesso alla lavorazione (ospedali, RSA) ed anche in questi sarebbe comunque sancito solo un obbligo di messa a disposizione del vaccino da parte del datore di lavoro, ma non il dovere del dipendente di vaccinarsi. Non essendo obbligatorio, il vaccino il dipendente “no vax” non potrebbe essere licenziato, ma al più sospeso da lavoro temporaneamente, in quanto temporaneamente inidoneo, sempre che non possa lavorare in modalità smart.

La legittimità

In effetti l’art. 32 Cost., prevede che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e non vi è una legge che stabilisce il trattamento sanitario obbligatorio in caso di vaccino anti Covid 19.

Del resto, neppure i Protocolli condivisi Governo-parti sociali (del marzo e aprile 2020), contenenti misure di prevenzione anti Covid e che hanno (art. 29-bis del d.l. n. 23/2020) forza di legge, prevedono l’obbligatorietà del vaccino anti-Covid nei luoghi di lavoro.

Fra l’altro, nell’unico arresto noto di un tribunale, chiamato ad analizzare la legittimità del Decreto dell'Assessore della Salute della Regione Siciliana che aveva introdotto l'obbligo della vaccinazione antinfluenzale per tutto il personale sanitario, si è affermato che: «la normativa volta a contrastare la diffusione del covid 19 non ha introdotto un obbligo vaccinale per il personale sanitario». .

Nello stesso senso pare andare l’Inail, che in un recente parere del 1° marzo ha affermato: «non si rileva allo stato dell’attuale legislazione in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, un obbligo specifico di aderire alla vaccinazione da parte del lavoratore» e «In materia di trattamenti sanitari opera, tra l’altro, la riserva assoluta di legge di cui all’articolo 32 della Costituzione», tanto che il «rifiuto di vaccinarsi» si configura «come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto ad un trattamento sanitario, ancorchè fortemente raccomandato dalle autorità».

Da qui l’Inail ha fornito risposta ad un ulteriore interrogativo: «se il dipendente rifiuta il vaccino e poi si ammala di Covid sul lavoro gli verrà riconosciuto l’infortunio?». La risposta è stata affermativa. Infatti, la legge (dpr 1965/1124) tutela il lavoratore anche nel caso in cui si sia fatto male per sua colpa. Questo perché l'assicurazione gestita dall'Inail, ha la finalità, in armonia con gli artt. 32 e 38 Cost., di proteggere il lavoratore da ogni infortunio sul lavoro e di garantirgli i mezzi adeguati allo stato di bisogno discendente dalle conseguenze che ne sono derivate ed il rischio di contagio non è certamente voluto dal lavoratore, anche quando ha rifiutato il vaccino.

Ma se anche l’Inail esita a riconoscere l’obbligatorietà del vaccino nei luoghi di lavoro, è agevole concludere che dal dibattito sull’obbligatorietà giuridica del vaccino per il dipendente emergono più dubbi che certezze, deleteri in tempo di pandemia.

Eppure basterebbe così poco per fare chiarezza! Basterebbe, un intervento di Governo e parti sociali di modifica del Protocollo condiviso del 24 aprile 2020: potrebbero introdurre un obbligo di vaccinarsi sui luoghi di lavoro con valore di legge. Sarà la prossima scelta di Mario Draghi ed Andrea Orlando assieme alle organizzazioni sindacali e imprenditoriali?

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