La Polizia penitenziaria ha pubblicato un video promozionale del suo Calendario 2025 in cui si vedono poliziotti in assetto antisommossa, che fanno corsi per placcare i detenuti e che si allenano con scudi, pistole e manganelli. Le immagini hanno provocato una dura reazione del Pd, che ha chiesto al governo di ritirare il calendario e interrompere la campagna di comunicazione «che tradisce la funzione rieducativa della pena» perché «la rappresentazione delle carceri come esclusivo teatro di conflitto e violenza rischia di legittimare approcci repressivi». Su questo interviene anche il presidente dell’Ucpi, Francesco Petrelli.

Non sappiamo più con quali parole denunciare quel dramma che dovrebbe investire la coscienza civile di tutti i vertici politici, amministrativi e giurisdizionali dello Stato. Il superamento di quel numero spaventoso di 84 suicidi che aveva tragicamente segnato l’anno 2022 -sono oramai 86 con l’ultimo suicidio di un ventunenne nel carcere di Marassi, dove a fronte di una capienza di 335 detenuti ce ne sono ammassati 696-, sta a dimostrare l’inarrestabile catastrofe e a rimarcare l’indecente silenzio di chi, potendo e dovendo intervenire, rivendica invece di aver pianificato un grande progetto edilizio e di avere incrementato investimenti di uomini e mezzi.

Ma nell’attesa di vedere le magnifiche future sorti di quello spaventoso progetto carcerocentrico, ulteriori e diversi investimenti si prospettano in un futuro più prossimo. Non si tratta soltanto delle nuove norme inserite nel pacchetto Sicurezza, che prevedono l’incremento della carcerizzazione con l’introduzione di nuovi reati e di nuove ostatività, ma di più sofisticati investimenti comunicativi, come quello della appena pubblicizzata formazione di nuovi reparti GIO, antisommossa e del promo “Calendario del Corpo di Polizia Penitenziaria 2025”. Videoclip del «nuovo volto della penitenziaria», che voltando pagina sul passato, propone un’immagine del corpo che non indulge né a clemenza né a compassione nei confronti dei reclusi.

Conosciamo bene le doti e le qualità di quegli uomini, la generosità e le difficoltà nel loro impegno quotidiano, e anche gli sviamenti, che denunciamo con forza. Ma restiamo davvero sgomenti nel vedere quegli stessi uomini e quelle stesse donne in divisa schierati, per fini di propaganda, sotto il martellante e angoscioso ritmo di una colonna sonora incalzante, “contro” quel popolo dei detenuti che nel video resta del tutto assente. Perché esaltare, con quel trailer l’idea di un corpo in assetto di guerra, di uomini e donne dall’aspetto truce, in armi contro una invisibile minaccia?

Si tratta di una immagine inedita, che archivia l’idea di un corpo che ha sempre anteposto convintamente la forza della rieducazione alla rieducazione della forza. «Gli agenti di polizia penitenziaria – diceva nel 2022 Bernardo Petralia, allora Capo del Dap – sono i primi educatori all’interno degli istituti, non soltanto controllori della sicurezza». Perché esaltare, con quel trailer, l’idea di un corpo ferocemente in armi contro la minaccia di quel popolo lontano, diviso ed invisibile di carcerati? Se anche volessimo, infatti, considerare quello dei detenuti come un popolo separato, ci chiediamo per quale ragione considerarlo come un popolo di nemici, come la sentina di ostaggi di un esercito nemico, di uomini che non possono essere in alcun caso oggetto non solo di clemenza, ma neppure di vicinanza. Un’orda indistinta di uomini pensati come destinatari (nelle parole del sottosegretario Delmastro) di una «miscela quotidiana» somministrata da un personale di polizia che sappia accompagnare «l’uso legittimo della forza nel minor gradiente possibile, con il supporto al trattamento e al reinserimento». Così che l’immagine del bastone non sia mai troppo distinta da quella della carota e l’uomo nuovo redento possa nascere da quella provvidenziale umiliazione, frutto della quotidiana somministrazione di quell’indispensabile «gradiente». Ecco, dunque, il vero perché di quella reclame muscolare e il motivo di quella declinazione esclusivamente repressiva e militare di un corpo che sappiamo essere invece dotato di tutt’altre virtù e di una ben diversa missione.

Despondere spem est munus nostrum è il motto di quel corpo: «Mantenere viva la speranza è il nostro compito». Guardate quel promo 2025 e dite se mai si poteva declinare in maniera più distorta e deforme quell’idea di una polizia di prossimità, che dovrebbe invece aderire al dettato costituzionale e anche al buon senso. O meglio ancora, al senso dello Stato.

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