Sono Massimiliano Sacchi, Consigliere presso la Corte di Appello di Napoli, settore civile.

Mi presento, alle elezioni per il rinnovo del CSM, come candidato per la categoria dei giudici di merito, per il Collegio 3.

Un gruppo di colleghi, fautori del metodo del sorteggio temperato, riunito nel Comitato Altra Proposta, a febbraio 2022, ha sorteggiato, dinanzi ad un Notaio di Roma, alcuni potenziali candidati. Io rientro tra coloro che sono stati sorteggiati e che ha deciso di manifestare la propria disponibilità.

La credibilità del Csm, fortemente compromessa dalla vicenda Palamara, deve essere recuperata, superando quella degenerazione correntizia che negli ultimi 15 anni ha condizionato l’azione dell’organo di autogoverno, asservendola ad interessi di parte.

Per questo motivo, l’iniziativa, messa in campo, da Altra Proposta rappresenta un punto di partenza di un percorso di rinnovamento culturale, che potrebbe portare la magistratura fuori delle sabbie mobili nelle quali è precipitata.

L’elemento di discontinuità rispetto al passato deve essere costituito dalla percezione che ciascun magistrato ha dell’operato del Csm. Questo non deve più essere visto come luogo ove si esercita, spesso secondo logiche difficilmente comprensibili, un potere, ma come presidio effettivo dell’autonomia ed indipendenza dei magistrati.

Le correnti

La sfida dei candidati sorteggiati è ardua, perché è chiaro a tutti che l’attuale sistema elettorale, anche dopo le modifiche apportate dalla riforma Cartabia, metta i candidati designati dalle correnti in una posizione di forza.

È sufficiente dire che, mentre questi ultimi, durante la campagna elettorale, si avvalgono del supporto di gruppi associativi radicati nei vari territori, i sorteggiati possono far leva solo sulla forza delle loro idee e sull’esigenza di rinnovamento, che, si spera, possa indurre molti magistrati, specie i più giovani, a voltare definitivamente pagina.

E’, altresì, evidente che l’esito della competizione elettorale potrebbe avere ricadute significative per il futuro. Un buon risultato dei candidati individuati tramite sorteggio consentirebbe alla magistratura di sollecitare le modifiche legislative necessarie per realizzare finalmente un sistema, di individuazione dei candidati, fondato esclusivamente sul metodo del sorteggio temperato, che, a mio parere, rappresenta l’unica via per cercare di ridurre il potere delle correnti. 

In una prospettiva de iure condendo, l’introduzione per legge di un criterio di rotazione degli incarichi direttivi e semidirettivi potrebbe costituire un valido strumento per eliminare la forte spinta carrieristica, che attualmente anima molti magistrati, e che è all’origine dello stesso sistema Palamara. È noto, infatti, che la degenerazione correntizia si è verificata quando, attraverso l’eliminazione del criterio dell’anzianità, attuata con la riforma Mastella del 2006, la scelta dei direttivi e semidirettivi è stata operata in base a parametri (merito, attitudini) che possono facilmente essere piegati al perseguimento di interessi di parte. L’elevato numero di annullamenti, da parte del Giudice amministrativo, delle nomine operate dal CSM dimostra come questa discrezionalità non sempre sia stata esercitata nel migliore dei modi. A quali criteri vorrei ispirare l’esercizio delle funzioni di consigliere qualora fossi eletto.

I criteri per l’esercizio delle funzioni

Mi limiterei a fare quello che ogni giorno faccio nell’esercizio dell’attività giurisdizionale. Applicare la legge, interpretandola in conformità al diritto euro unitario ed alla Costituzione, senza essere condizionato da legami di appartenenza correntizia o da debiti di riconoscenza.

L’elezione di candidati effettivamente indipendenti, quali sono quelli scelti per il tramite del sorteggio, consentirebbe di liberare l’operato del CSM da condizionamenti esterni. Ovviamente, si tratterebbe solo di un primo passo, posto che, come ho detto, l’attuale sistema elettorale non permette di realizzare quel rinnovamento effettivo e profondo di cui l’istituzione consiliare ha bisogno.

La riforma Cartabia

L’attuazione della riforma Cartabia impegnerà in misura significativa l’attività dell’organo consiliare.

Trattandosi in gran parte di una legge delega, che si limita ad indicare i principi, la sua effettiva applicazione richiede la necessaria adozione, da parte del Governo, dei decreti delegati.

Rispetto agli aspetti più critici della riforma (si pensi al cd. fascicolo del magistrato, contenente i dati salienti ai fini delle valutazioni di professionalità), sarà necessario che il CSM applichi la norma e gli eventuali decreti attuativi in modo da salvaguardare l’esercizio autonomo ed indipendente delle funzioni.

Ad esempio, l’interpretazione della legge Cartabia, laddove attribuisce rilievo, ai fini della valutazione del parametro della capacità del magistrato, alle gravi anomalie in relazione all’esito degli affari nelle fasi o nei gradi successivi del procedimento, non potrà prescindere dalla considerazione per cui, spesso, rientra nella fisiologia del sistema che una medesima fattispecie venga ad essere valutata diversamente nei vari gradi o fasi del processo. Si deve, quindi, evitare che la riforma Cartabia, incutendo timore tra i colleghi, induca ad un esercizio per così dire difensivo delle funzioni giurisdizionali, del quale, in definitiva, gli utenti del servizio subirebbero le conseguenze più gravi.

Per quanto riguarda la scelta dei direttivi e semidirettivi, sarà necessario che il Consiglio, bandita definitivamente ogni forma di condizionamento sia esterno che interno, valorizzi l’esercizio dell’attività giurisdizionale, attribuendo rilievo marginale a titoli diversi (quali, soprattutto, le esperienze fuori ruolo, appannaggio di pochi e quasi impossibili da ottenere per la maggior parte dei magistrati).

È, poi, necessario che l’individuazione, da parte del CSM, dei dirigenti degli uffici giudiziari, specie di quelli ubicati in contesti caratterizzati da una forte presenza della criminalità organizzata, avvenga in tempi rapidi, evitando che le scoperture si protraggano, come purtroppo non di rado accade, per mesi, se non per anni.

Quale giudizio dà della riforma Cartabia? Sicuramente un giudizio negativo.

Si pensi che la cd. separazione delle funzioni giudicanti e requirenti, che io personalmente non condivido, è stata, nei fatti, già realizzata tramite questa legge. In base ad essa, infatti, il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa potrà avvenire non più di una volta nell’arco dell’intera carriera e non oltre i dieci anni dall’assunzione delle funzioni.

Allo stato, peraltro, nonostante questa norma renda, in concreto, poco agevole il passaggio da una funzione all’altra, la figura del Pubblico Ministero resta pur sempre all’interno del ruolo della magistratura.

Una separazione delle carriere, che viene periodicamente richiesta da parte delle forze politiche e che ha costituito oggetto anche di una recente consultazione referendaria, potrebbe, a mio avviso, comportare il rischio di ridurre fortemente l’indipendenza del Pubblico Ministero e di assoggettarlo al controllo del potere legislativo/esecutivo.

In proposito, la riforma Cartabia già introduce un vulnus significativo al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, dal momento che prevede che i Capi degli Uffici di Procura, nel predisporre il progetto organizzativo dell’Ufficio, debbano indicare, tra l’altro, secondo i criteri generali individuati dal Parlamento con legge, i criteri di priorità nella trattazione delle notizie di reato.

Si realizza, in tal modo, una selezione delle notizie di reato da trattare con priorità rispetto ad altre, che pone non pochi dubbi di compatibilità con l’art. art. 112 Cost., a norma del quale l’esercizio dell’azione penale è obbligatorio.

La riforma Cartabia, inoltre, introduce il cd. fascicolo del magistrato, destinato a raccogliere le informazioni salienti ai fini della valutazione di professionalità. È importante che nell’applicare in concreto la legge, il CSM bandisca interpretazioni basate su meri dati statistici e quantitativi, essendo indispensabile far emergere e valorizzare le peculiarità delle funzioni esercitate ed il contesto lavorativo.

Da questo punto di vista, appare imprescindibile l’individuazione, da parte del Consiglio, del cd. carico unico nazionale, vale a dire di un parametro numerico, calibrato sul tipo di funzione svolta (civile, penale, monocratica, collegiale, specializzata), che rappresenti lo standard produttivo esigibile da ciascun magistrato. In tal modo si potranno evitare situazioni di disparità che allo stato si registrano tra un ufficio ed un altro, essendo il carico di lavoro al momento determinato da ciascun dirigente nel programma annuale di gestione.

Il ministero della Giustizia

Quali prospettive nei rapporti con il Ministro della Giustizia: massima collaborazione per rendere possibile il perseguimento del comune interesse, che è quello di coniugare la rapidità con la qualità della decisione.

Il Ministero dovrà per parte sua fornire le risorse, in termini di uomini e di mezzi, necessarie per permettere il funzionamento della macchina giudiziaria.

In alcuni uffici le carenze di organico, nel personale di magistratura ed in quello amministrativo, sono tali da rendere davvero arduo offrire un servizio adeguato.

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