Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per un mese pubblichiamo ampi stralci della “Relazione sul Caso Impastato”, elaborata dal Comitato della Commissione Parlamentare Antimafia della XIII° Legislatura, sull’uccisione di Peppino Impastato


Gli anni che vanno dal 1970 al 1978 costituiscono il periodo cruciale di Badalamenti che passa dal fulgore della massima potenza ai vertici di Cosa nostra all’espulsione dalla stessa organizzazione. Per comprendere il 1970 occorre fare un passo indietro, agli anni 1962–1963 caratterizzati dallo scontro armato con i La Barbera ritenuti gli assassini di Calcedonio Di Pisa.

In realtà, si scoprirà dopo che ad uccidere Calcedonio Di Pisa è stato Michele Cavataio, detto il “cobra”, che ha fatto ricadere la responsabilità sui la Barbera per prenderne il posto. A metà di dicembre 1969 a Viale Lazio, in pieno centro di Palermo, sei mafiosi travestiti da poliziotti entrano sparando negli uffici di una impresa edile e ammazzano Cavataio.

Il 1963, come si ricorderà, è l’anno in cui è iniziato un periodo di tregua che durerà fino al 1968, tregua che tutti – magistrati, forze dell’ordine, opinionisti – hanno ritenuto che sia stata il frutto di un accordo tra i capi mafia per non turbare il processo di Catanzaro.

È, invece, accaduto qualcosa di più clamoroso perché – racconta Buscetta negli anni successivi – i vertici di Cosa nostra, vuoi perché non riescono a porre rimedio al caos interno vuoi perché sottoposti a una repressione da parte dello Stato dopo la strage di Ciaculli, decidono di sciogliere l’organizzazione, almeno per una fase transitoria.

L’idea di ricostituire il vertice dell’organizzazione matura nel 1970. Secondo Buscetta, nel giugno del 1970 c’è un incontro a Roma tra lo stesso Buscetta, Bontate, Salvatore Greco e Badalamenti.

Nell’occasione Buscetta suggerisce agli altri di ricostituire la Commissione di Cosa nostra. I quattro si trovano d’accordo anche nell’opportunità di includere Luciano Leggio che verrà sostituito, in sua assenza, da Toto` Riina. La decisione assunta successivamente è quella di dar vita a un triumvirato formato da Stefano Bontate, Luciano Liggio e Gaetano Badalamenti, «un individuo rozzo e ignorante ma “venerato come Dio in terra” nei loro ambienti »”.

Per quanto potere abbia avuto, Badalamenti rimane pur tuttavia un uomo che non riesce a far dimenticare la sua estrazione sociale. Se Stefano Bontate – uomo che ha la « raffinata cultura della mediazione della mafia cittadina », figlio di quel «Paolino che, sin dall’immediato dopoguerra », ha intessuto « rapporti politici ad altissimo livello» – per i suoi modi è soprannominato il «principe di Villagrazia », il mafioso di Cinisi, «un boss zotico come pochi», è costretto a subire le punture di spillo di Liggio «che non rinunciava a sottolineare l’ignoranza di Gaetano Badalamenti rilevando con piacere maligno gli errori di grammatica e di sintassi». Liggio, quanto a estrazione sociale non è certo «superiore» a Badalamenti, però, contrariamente al “vaccaio” di Cinisi, «benché figlio di poveri braccianti e inveterato assassino, coltivava l’immagine di intellettuale della mafia e amava farsi chiamare “professore”».

Disprezzato perché incolto e dai modi alquanto rozzi, odiato perché si è arricchito alle spalle di altri mafiosi, Badalamenti è anche temuto e rispettato per il suo sistema di potere che va ben al di la` di Cosa nostra.

Il triumvirato è un “miracolo” mafioso perché mette assieme due aspetti della mafia del tempo: da una parte Bontate e Badalamenti che si sono arricchiti con il traffico di droga, che «controllano molti politici siciliani e assieme ai Salvo costituiscono una holding dell’illecito quasi inespugnabile», dall’altra parte «capiscono di dover cooptare nella gerarchia di comando quei rozzi, arroganti, semianalfabeti corleonesi, che hanno il merito di sparare e ammazzare».

Forte della nuova carica Badalamenti ordina a Salvatore Zara, un camorrista napoletano affiliato a Cosa nostra, di uccidere un uomo che sul finire degli anni cinquanta si è reso responsabile di un oltraggio nei confronti del famoso Lucky Luciano, espulso dagli Usa e da poco residente a Napoli. Luciano è schiaffeggiato all’ippodromo di Agnano da un esuberante guappo in vena di esibizionismo. L’offesa, seppure con molti anni di ritardo, è lavata e Badalamenti, «fiero» di aver ordinato l’assassinio, si precipita a far sapere negli Usa quanto è appena accaduto.

La costituzione della commissione e la formazione del triumvirato hanno solo rinviato lo scontro interno che si alimenterà di vari ingredienti e di varie causali momentanee, ma che avrà sempre come epicentro sensibile «un problema di potere».

Lo scontro non esploderà all’improvviso ma avrà una lunga gestazione data la tattica attendista dei corleonesi. Totò Riina, che eredita il comando prima esercitato da Luciano Liggio, agisce abilmente per minare, giorno dopo giorno, progressivamente, il potere e il prestigio di Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti.

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