Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Sui contatti intervenuti prima del maggio 1994 (come visto data di insediamento del primo governo Berlusconi) vengono in rilievo degli aspetti della decisione che coinvolgono non solo il già citato Dell'Utri ed i suoi rapporti con Mangano Vittorio ma anche e più direttamente i coimputati di questo processo Bagarella Leoluca e Brusca Giovanni.

In merito a quest’iniziativa, definita la “seconda condotta” (seconda rispetto a quella che ha coinvolto gli uomini del Ros nonché gli esponenti mafiosi di cui già si è detto in precedenza), risulta ineccepibile la ricostruzione, anche questa tratteggiata nella sentenza di primo grado, che ha collocato “... la condotta posta in essere in prima persona da Bagarella e Brusca già all‘indomani dell‘arresto di Salvatore Riina (v. trascrizione udienza 25 gennaio 2018) e, quindi, prima della successiva fase iniziata col ricorso all‘opera di Vittorio Mangano, dopo che a questi, per volere degli stessi Bagarella e Brusca, era stata affidata la “reggenza” del “mandamento” di Porta Nuova in sostituzione di Salvatore Cancemi costituitosi spontaneamente ai carabinieri nel luglio 1993”. (Cancemi si costituisce esattamente in data 22.07.1993).

Se, dunque, un ruolo centrale va attribuito a Vittorio Mangano, tanto da divenire reggente del citato mandamento mafioso, è altrettanto evidente che tale nomina sia stata caldeggiata in previsione di sfruttare i suoi risalenti rapporti di conoscenza con Dell'Utri per realizzare quell’obiettivo che stava particolarmente a cuore a Cosa nostra e, in quel momento (dopo l’arresto di Riina ed in seguito dei fratelli Graviano), in specie ai predetti Bagarella e Brusca.

Un’iniziativa che, si badi bene, non era finalizzata a porre in essere nell’immediato l’ennesima “prova di forza” minacciando il Governo della Repubblica, una compagine governativa che, per di più, in quel momento non era neppure rappresentato da Silvio Berlusconi, ma invece tesa a trovare un compiacente interlocutore per assicurare determinai risultati da tempo auspicati dalla compagine mafiosa in tema di ammorbidimento della legislazione antimafia e di modifiche ordinamentali del sistema penale e penitenziario paventando, quale funesta alternativa, il riprendere (o la prosecuzione se si preferisce) delle stragi.

Un progetto peculiare perché configura una minaccia sottoposta ad una duplice condizione:

- primo, che la compagine politica capeggiata da Berlusconi e sponsorizzata da Dell'Utri avesse vinto le elezioni;

- secondo, che detto gruppo politico, una volta “salito al governo”, non avesse rispettato le interlocuzioni preelettorali intessute da Dell'Utri con gli uomini di Cosa nostra.

In chiave difensiva è stata censurata la coerenza di una “minaccia preventiva” di tal fatta in base all’interrogativo sintetizzabile con la formula: che senso avrebbe avuto, per i mafiosi, minacciare Silvio Berlusconi al tempo importante imprenditore ma privo di cariche istituzionali o incarichi governativi?

Rispetto a questo quesito, che prospetta una questione logica ancor prima che probatoria, è agevole replicare affermando che l’obiettivo immediato fosse quello di creare le pre-condizioni affinché Cosa nostra ottenesse, già in quel momento, delle rassicurazioni rivolgendosi all’interlocutore Dell'Utri che, come emerge dalle dichiarazioni dello stesso Brusca, in quel momento era l’obiettivo ma non certamente in qualità di “vittima” della minaccia: Dell'Utri rappresentava una sorta di trampolino per assicurare, in un pRossimo futuro, un’attenzione normativa alla questione caldeggiata da Cosa nostra.

In questo scenario si inserisce la tematica (affrontata nella Parte Quarta della sentenza di primo grado) dell’esistenza di un accordo preelettorale tra Cosa nostra, nelle persone di Bagarella e Brusca (oltre che, separatamente, almeno sino al gennaio 1994, nelle persone dei fratelli Graviano), e Marcello Dell'Utri in rappresentanza del partito Forza Italia.

Rispetto a questo accordo preelettorale la sentenza impugnata, se in un primo momento ne ha affermato l’esistenza in termini di certezza (“In conclusione, allora, può ritenersi ampiamente provato che, in occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche del 1994, le cosche mafiose, facendo affidamento sulle “assicurazioni” e sulle “garanzie” ricevute attraverso Marcello Dell‘Utri, decisero di appoggiare il nuovo partito politico fondato da Silvio Berlusconi (con l‘apporto determinante dello stesso Dell‘Utri) nella prospettiva di ricavarne vantaggi e benefici), di seguito e nello sviluppo della stessa motivazione ha prospettato uno scenario più sfumato giungendo ad ipotizzare che sia stato raggiunto “... se non un accordo preeletrorale vero e proprio, la promessa preelettorale da parte di Marcello Dell'Utri, nella predetta qualità di intermediario di Silvio Berlusconi «ruolo di intermediario già risalente negli anni, secondo quanto definitivamente accettato con le sentenze di cui si è detto nella Parte Quarta della sentenza, Capitolo I), che, in caso di successo nelle imminenti elezioni politiche e di incarico di governo affidato a Silvio Berlusconi, sarebbero stati adottati alcuni provvedimenti certamente in linea con le attese dei mafiosi (basti pensare all‘abolizione dell‘ergastolo in favore della quale già alcuni esponenti di quel partito si erano pronunziati)”.

Non un accordo, ma una promessa

Dunque, più che di un “accordo preelettorale”, si è trattato (almeno) di una “promessa preelettorale” da parte di Dell'Utri in questa sua particolarissima veste di mediatore in una ricostruzione nella quale è stato anche dato per assodato che già in questa fase, appunto preelettorale, vennero “...prospettate al Dell‘Utri le conseguenze (in termini di stragi) della mancata adozione di provvedimenti attesi dai mafiosi. ma tale minaccia, poiché rivolta ad un destinatario che in quel momento non faceva pare di un Governo, né lo rappresentava neppure nella veste di intermediario di singoli componenti, venendosi nell‘ipotesi del reato istantaneo che si consuma nel momento in cui la minaccia viene recepita dal destinatario (che, in quel momento, come detto, appunto, non faceva parte del Governo della Repubblica), non potrebbe da sola integrare i presupposti del contestato reato di cui all’ar. 338 c.p.”.

Ed è in tale contesto che si inseriscono le interlocuzioni cui ha fatto riferimento in particolare il collaboratore Giovanni Brusca.

Occorre al riguardo precisare che la figura di Dell'Utri (del quale, all’interno di “cosa nostra”, era noto il risalente ruolo, svolto esattamente dalla metà degli anni settanta fino al 1992 come stabilito dal giudicato a carico dello stesso, quale intermediario tra l’organizzazione mafiosa e Silvio Berlusconi) interessava tanto l’ala stragista di Cosa nostra (nella persona di Giuseppe Graviano ed, in un secondo momento, dopo l’arresto dei fratelli Graviano, di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca) quanto l’ala che alla prima si contrapponeva e che caldeggiava la cessazione delle stragi (rappresentata da Bernardo Provenzano) senza che nessuna di queste fazioni abbandonasse le proprie posizioni strategiche.

In riferimento alla minaccia al Governo Berlusconi, di cui adesso si tratta, è chiaro che assuma rilievo l’iniziativa dell’ala stragista ed esattamente l’iniziativa assunta dopo l’arresto, il 27.01.1994, dei fratelli Graviano.

È proprio in questa fase che si coagula un progetto voluto da Bagarella e Brusca i quali intendevano pRoseguire nella tattica stragista (ad iniziare da quella dello stadio Olimpico organizzata da Graviano e fortunosamente fallita) ed a minacciarne ulteriori per ottenere ciò che l’organizzazione rivendicava.

Al riguardo rimane peculiare l’occasione, descritta dallo stesso Brusca, a fondamento di tale proposito criminoso dal momento che il predetto ha sostenuto di aver chiesto a Mangano di contattare Dell'Utri dopo che aveva appreso, in via del tutto inaspettata, dei risalenti rapporti tra questi ultimi e Silvio Berlusconi dalla lettura di un articolo del settimanale L’Espresso che lo stesso Brusca aveva acquistato (“me lo avevo comprato io”) e che poi aveva ritrovato, in termini altrettanto casuali (per “coincidenza”), sul tavolo di una stalla a Partinico.

In merito a questa genesi, in effetti dai tratti così originali, va dato atto delle perplessità esternate con forza dalle difese anche in questo giudizio di secondo grado.

Precisato che la sentenza impugnata, dopo articolata riflessione, è giunta alla (condivisibile) conclusione secondo cui l’articolo del settimanale L’Espresso da cui Brusca ha appreso dell’esistenza ditali rapporti tra Mangano e Dell'Utri e da cui, soprattutto, ha tratto ispirazione per ordire il suo progetto criminoso, è da collocare a marzo del 1994 (e non, come sostenuto dalla procura, l’articolo pubblicato nell’aprile 1994, ritenendo che “... appare più coerente datare l’incontro di quest‘ultimo – Brusca - con Mangano almeno al marzo 1994 quando furono pubblicati i primi due articoli sui rapporti Mangano, Dell Utri e Berlusconi...”), è stato posto in evidenza, in chiave difensiva, che tale collocazione temporale, appunto nel marzo 1994, sarebbe inconciliabile con quanto affermato dallo stesso Brusca a proposito di quel regalo che sempre questo dichiarante ha riferito di aver fatto a Vittorio Mangano per “premiarlo” della sollecitudine del suo intervento con Dell'Utri.

Più esattamente Brusca ha riferito di avere donato carne di vitello proveniente dalla macellazione di bovini che precedentemente erano stati rubati dai fratelli Vitale ad un certo Tola [...]. Appunto mettendo in relazione la data del furto, collocabile nella notte tra il 7 e l’8 ottobre del 1993, come da verbale di denuncia, e la data della pubblicazione dell’articolo de l’Espresso nel marzo del 1994, si è ritenuto che sarebbe intercorso un tempo eccessivamente lungo così da screditare la complessiva credibilità del Brusca non potendosi confidare che quella carne sia stata conservata per circa sei mesi prima di essere regalata al Mangano.

L’argomento non merita accoglimento. Invero, il furto a Partinico dei capi di bestiame consente di collocare l’incontro in epoca sicuramente successiva al mese di ottobre 1993, poiché a tale epoca risale il furto cui Brusca si è riferito. A prescindere, infatti, dalle tecniche di conservazione della carne macellata, preme soprattutto sottolineare che neppure Brusca sapeva dopo quanto tempo dal loro prelievo i vitelli fossero stati macellati per poi essere consegnati al Mangano.

Unendo questi dati si ottiene la compatibilità della ricostruzione anche temporale offerta con la sentenza di primo grado circa l’iniziativa delittuosa assunta dal Brusca nei termini detti, contattando Vittorio Mangano a marzo del 1994. Tale datazione appare, del resto, coerente con il fatto — anche questo riportato nella decisione di primo grado — “...che, nel frattempo i fratelli Graviano, che avevano già un proprio contatto con Dell‘Utri, erano stati arrestati e che, pertanto, si poneva la necessità per Brusca e Bagarella di attivare un proprio contatto diretto col medesimo Dell‘Utri”.

Brusca ignaro del fallito attentato all’Olimpico

Inoltre, lo stesso Brusca, nel descrivere l’incarico affidato a Mangano e la minaccia che questi avrebbe dovuto comunicare a Dell'Utri, ha riferito che in quel momento egli ancora non sapeva della tentata strage dell’Olimpico (v. dich. Brusca: “E di dirgli se non si mette a disposizione noi continueremo con la linea stragista, che già erano successe due, tre, quattro... forse tutte, in quel momento ancora io non sapevo di quella dell'Olimpico, la mancata addirittura neanche sapevo che era già stato messo in atto, quindi non... io non sapevo nulla..”), così che indirettamente se ne deve ricavare che l’incarico di cui si tratta venne affidato a Mangano in epoca successiva al predetto fatto delittuoso pianificato nel gennaio del 1994.

A tale datazione non sono d’ostacolo, come detto, neppure i mesi trascorsi dal furto dei vitelli, poiché Brusca ha riferito che al Mangano fu regalata carne proveniente dalla macellazione dei detti capi di bestiame che, dunque, al di là del ricordo impreciso del Brusca dovuto al tempo trascorso, ben poteva essere stata macellata a distanza di tempo dal furto e comunque conservata, come abitualmente ed usualmente avviene, anche nei mesi successivi sino a quando una parte di tale carne era stata, appunto, elargita a Mangano come segno di riconoscimento.

Ma tornando all’iniziativa di Brusca, va sottolineato che lo stesso ha riferito della sua azione, concertata con Leoluca Bagarella, al fine di instaurare, tramite Mangano, un rapporto con Dell'Utri e per far recapitare a questi le richieste di Cosa nostra perché le inoltrasse a Silvio Berlusconi unitamente alla minaccia di proseguire nelle stragi qualora tali istanze non fossero state esaudite nel momento in cui e se lo stesso Berlusconi avesse assunto incarichi di governo.

Rinviando alla sentenza di primo grado per i dettagli anche riferiti a questa vicenda (p. 4358 e ss.), così come per l’individuazione dei riscontri a simili propalazioni del Brusca (riscontri sui quali a breve si tornerà), occorre ribadire che le richieste di quest’ultimo erano essenzialmente finaizzate ad ottenere, nell’immediato l’attenuazione del regime del 41 bis O.P. e, nel prosieguo, ulteriori revisioni della legislazione antimafia sulla falsa riga, in sostanza, delle questioni che erano state oggetto, per come lo stesso Brusca aveva potuto apprendere da Salvatore Riina, della prima trattativa, cioè quella instaurata con coloro che, nel 1992, si “erano fatti sotto” richiamando la grezza ma emblematica espressione utilizzata al riguardo dallo stesso Riina.

Se, dunque, è individuabile questa linea di continuità nella strategia ricattatoria mafiosa, che pure non incrina la diversità delle due iniziative (che valgono, come visto, a tracciare due differenti ipotesi di reato), il collaboratore Brusca ha chiarito di avere espressamente incaricato Mangano di prospettare a Dell'Utri, qualora non si fosse “messo a disposizione”, la prosecuzione dell’attacco diretto e frontale allo stato: “E di dirgli se non si inette a disposizione noi continueremo con la linea stragista...”.

Le nuove intercettazioni

Va anche ricordato che la Corte di Appello di Palermo, con la sentenza del 29 giugno 2010, nel processo celebrato a carico di Marcello Dell'Utri per il reato aggravato di concorso in associazione mafiosa, aveva ritenuto di non potere escludere che Vittorio Mangano avesse millantato con Brusca e Bagarella di avere ricevuto da Dell'Utri promesse politiche nel corso degli incontri collocabili nel 1993-1994 e che, dunque, i pretesi contatti (lo si ribadisce Mangano/Dell'Utri) fossero rimasti, in effetti, soltanto a livello di tentativo senza alcuno sviluppo ulteriore e più tangibile.

Questo punto esegetico deve essere adesso superato sulla scorta degli elementi, anche sopravvenuti, emersi in questo processo e che verranno a breve ripercorsi (specie in merito agli incontri intercorsi dopo il maggio del 1994 nonché evincibili dall’intercettazione, acquisita in questo giudizio di appello, che interessa l’avv. Pittelli e di cui pure si avrò modo di dire); degli elementi tali da far ritenere che in quel periodo, tra il 1993-1994, Dell'Utri abbia effettivamente incontrato personaggi mafiosi (non solo siciliani, come emerge dalla citata intercettazione Pittelli vedi infra) per intessere un patto politico-mafioso nel quale si inserivano anche e, anzi, soprattutto, per quanto emerge in questo processo, gli incontri di Mangano con Dell'Utri per recapitargli i desiderata di Cosa nostra.

Tuttavia non si dispone - perlomeno è tale la convinzione di questa Corte - di una prova altrettanto solida e completa circa il fatto che questo meccanismo di comunicazione sia andato a termine fino alla fine (tracciando “l’ultimo miglio” del percorso probatorio, come metaforicamente si diceva), cioè che Marcello Dell'Utri abbia a sua volta trasmesso tale messaggio, con la sua terribile carica intimidatoria, a Berlusconi (perché si mettesse ‘a disposizione”) né, tanto meno, si ha prova delle modalità di una possibile interlocuzione, qualora davvero intervenuta, tra Dell'Utri e Berlusconi dopo l’assunzione dell’incarico di governo da parte di quest’ultimo.

Se, dunque, la condotta, che si è articolata anche dopo l’insediamento del Governo Berlusconi (vedi infra), rimane allo stadio del reato tentato, tuttavia rispetto alla pronuncia irrevocabile sopraddetta si ha adesso la consapevolezza di un passaggio ulteriore, per quanto non ultimo, nel senso che si ha prova dei contatti Mangano/Dell'Utri rimanendo, invece, indimostrati (o non provati se si preferisce) quelli ulteriori Dell'Utri/Berlusconi.

Una problematica, quella della conoscenza o meno da parte di Berlusconi delle minacce stragiste ventilate da Cosa nostra, che attraversa questi periodi e che si ripropone, sebbene sottendendo conseguenze giuridiche decisamente diverse, sia in riferimento alla fase antecedente al maggio del 1994 (quando Berlusconi non aveva incarichi di governo e quindi la minaccia al Corpo politico dello stato non poteva essere per questa via integrata) sia dopo il maggio del 1994 (quando la minaccia, se recapitata al Presidente del Consiglio Berlusconi o ai danni di altri esponenti di quel Governo, ben avrebbe potuto portare a consumazione il reato di che trattasi).

Malgrado risulti evidente che la questione centrale attenga ai fatti successivi all’insediamento del citato Governo, per fatti astrattamente capaci di integrare il reato per come contestato, è importante analizzare l’antefatto per comprendere le dinamiche sottese ai rapporti e per pervenire ad una ricostruzione quanto più organica.

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