Non è sufficientemente provato che l’organizzazione mafiosa deliberò di attuare la “strategia della tensione” per agevolare la realizzazione del progetto politico del gruppo Gelli – Delle Chiaie, né che l’organizzazione mafiosa abbia approvato l’attuazione di un piano eversivo-secessionista per effetto di contatti col gruppo Gelli – Delle Chiaie
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo ampi stralci del decreto di archiviazione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, della Procura della Repubblica di Palermo, del 21 marzo 2001.
In primo luogo, è certo che la strategia “pensata” nel 1991 subì più di un “aggiustamento” negli anni successivi, subì integrazioni, scarti e perfino qualche deviazione. In secondo luogo, non può sottacersi che la presenza di alcuni significativi “buchi neri” nell’accertamento della verità sugli avvenimenti di quegli anni non consente di ricostruire compiutamente tutti i tasselli delle dinamiche criminali dei primi anni ‘90.
È ormai accertato che sia gli atti violenti programmati nel ’91-’92, sia quelli effettivamente realizzati nel ’92-’93, furono “delitti politici”, definibili tali non solo per la qualità degli obiettivi, ma per le finalità perseguite, nel senso che Cosa Nostra intendeva “ristrutturare” e “regolare” i propri rapporti con la politica. Ed alcuni di questi furono realizzati con modalità terroristiche.
Non vi è prova certa, invece, che essi furono “delitti eversivi” nel senso tecnico del termine, cioè che vennero realizzati per fini di eversione [Si noti che la Corte d’Assise di Firenze che ha giudicato in primo grado gli imputati delle stragi del ’93 di Roma, Firenze e Milano, ha ritenuto sussistente la circostanza aggravante di cui all’art. 1 D.L. 15-12-79, n. 625, conv., con mod., nella legge 15/1980, soltanto sotto il profilo della finalità di terrorismo, e non anche sotto il profilo dell’eversione dell’ordine democratico, “giacché non qualsiasi attività violenta diretta a influire sul funzionamento degli organi costituzionali, ma solo quelle rivolte a scardinare l’assetto costituzionale dello Stato possono dar luogo a quest’aggravante”].
Anche perché non è provato che il progetto secessionista, certamente coltivato nel 1991, abbia costituito il primario obiettivo perseguito anche negli anni successivi, se non come “minaccia” prospettata al fine di contrattare nuovi rapporti politici più vantaggiosi per l’associazione mafiosa.
In definitiva, neppure la disamina degli accadimenti successivi all’epoca dell’elaborazione del piano eversivo-criminale consente di colmare il deficit probatorio in ordine ai due “punti critici” sopra evidenziati: l’accertamento di un nesso causale fra il piano eversivo ed il sorgere dei movimenti politici meridionalisti e la prova della costituzione di una vera e propria “associazione” finalizzata alla realizzazione di un programma eversivo-secessionista mediante la commissione di atti violenti.
Venendo, dunque, alle valutazioni conclusive in ordine alla consistenza probatoria degli elementi acquisiti in ordine alla configurabilità dei reati per cui si procede nei confronti degli odierni indagati, il pubblico ministero ritiene che gli elementi acquisiti nei confronti degli indagati Cattafi Rosario, Battaglia Filippo e Mandalari Giuseppe non siano sufficienti per affermarne la partecipazione al piano eversivo criminale elaborato da Cosa Nostra nel 1991.
Sul conto di Cattafi e Battaglia, gli elementi indiziari emersi sono costituiti, oltre che da quelli relativi alla loro lunga “carriera” in seno alla criminalità organizzata [Il Cattafi, più volte arrestato e processato per traffico d’armi e di stupefacenti e associazione mafiosa, è stato condannato per violazione della legge sugli stupefacenti dal Tribunale di Milano nell’ambito dell’indagine sull’Autoparco Salesi di Milano. Cfr., per una ricostruzione della figura di Cattafi, il decreto del Tribunale di Messina di applicazione del la misura della sorveglianza speciale di P.S. del 21.7.2000, nel quale si evidenziano i legami di Cattafi con la famiglia catanese di Cosa Nostra, ed in particolare con Nitto Santapaola.
Il Cattafi ed il Battaglia, come risulta dagli stessi documenti citati, sono stati insieme coinvolti in una complessa indagine della Procura di Catania per un traffico internazionale d’armi gestite dalla criminalità organizzata catanese e messinese], dalle dichiarazioni di alcuni collaboranti come Maurizio Avola, dai legami di Cattafi con Pietro Rampulla, il c.d. “artificiere” della strage di Capaci, anch’egli proveniente dalle fila di Ordine Nuovo, e dai contatti telefonici fra utenze in uso al Cattafi con soggetti riconducibili a Licio Gelli e a Stefano Delle Chiaie fra la fine del 1991 e gli inizi del 1992, e cioè proprio nel periodo di elaborazione del piano eversivo e di massimo impegno di Gelli e Delle Chiaie nel progetto politico delle leghe meridionali.
Il che è certamente insufficiente per sostenere l’accusa nei confronti di Cattafi e Battaglia. Nei confronti di Mandalari Giuseppe gli unici elementi direttamente refluenti sull’oggetto del presente procedimento sono costituiti dalle dichiarazioni di Massimo Pizza e Antonio D’Andrea circa l’interesse manifestato da Mandalari per il movimento della Lega Meridionale ed il suo tentativo di orientarne gli indirizzi politici in senso più spiccatamente separatista, così assecondando la realizzazione degli obiettivi del “piano eversivo”.
In mancanza, tuttavia, di elementi individualizzanti ulteriori rispetto alle acquisizioni concernenti i suoi rapporti con Cosa Nostra (sulla base delle quali il Mandalari è già stato condannato per associazione mafiosa), ciò appare troppo poco, anche sul piano indiziario, per arguirne una partecipazione all’associazione eversiva in discorso.
In relazione alle rimanenti posizioni, il pubblico ministero ritiene che non sia sufficientemente provata la sussistenza di un nesso causale fra la deliberazione in seno a Cosa Nostra del piano eversivo-criminale ed il progetto di organizzazione delle leghe meridionali del gruppo facente capo a Gelli – Delle Chiaie. Come si è evidenziato in premessa, per ritenere configurabile il reato di cui all’art. 270 bis c.p., in quanto illecito associativo, è necessario provare un quid pluris rispetto al mero accordo per la commissione di atti violenti con finalità di eversione dell’ordine costituzionale. Occorre la prova di un vincolo associativo fra i membri del sodalizio che concretamente si traduca nell’essenziale requisito organizzativo.
La speciale pericolosità dell’associazione, che ne giustifica l’incriminazione a prescinde re dall’effettiva commissione degli atti violenti in programma, deriva infatti dall’esistenza di un vero e proprio sodalizio organizzato al suo interno in vista dell’attuazione dei fini illecito-eversivi dell’associazione medesima.
Nel caso di specie, la difficoltà probatoria si complica ulteriormente per il dato che molti degli indagati sono, a loro volta, membri di altre associazioni illecite, soprattutto di tipo mafioso. Altri ancora, come Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie, hanno in prima persona svolto attività “organizzativa” di movimenti politici separatisti. Ovviamente, però, non è sufficiente essere inseriti in “altre” organizzazioni o avere svolto attività “organizzative” diversamente finalizzate, perché sia integrato il requisito organizzativo dell’associazione eversiva.
Occorre la prova di un’organizzazione autonoma dell’associazione de qua, che sia distinguibile da quella del sodalizio mafioso di appartenenza e dall’attività organizzativa espletata all’interno delle forma zioni politiche, che si assume abbiano costituito strumento dell’associazione eversiva.
Ora, a parere del P.M. sono stati acquisiti sufficienti elementi in ordine alle seguenti circostanze:
• all’inizio degli anni ’90 venne elaborato, in ambienti esterni alle organizzazioni mafiose ma ad esse legati, un nuovo “progetto politico”, attribuibile ad ambienti della massoneria e della destra eversiva – in particolare – agli indagati Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie e Stefano Menicacci;
• a tal fine, venne messa in atto in quegli anni una complessa attività preparatoria-organizzativa, sul terreno politico, di movimenti meridionalisti finalizzati alla costituzione di un nuovo soggetto politico meridionalista di riferimento, che doveva fungere da catalizzatore delle spinte secessioniste provenienti dal Meridione;
• in epoca successiva, all’interno di Cosa Nostra, si deliberò di adottare una strategia della tensione finalizzata a ristrutturare i “rapporti con la politica”, attraverso l’azzeramento dei vecchi referenti politici e la creazione delle condizioni più agevoli per l’affermazione di nuovi soggetti politici, che tutelassero più efficacemente gli interessi del sistema cri minale;
• all’interno di tale strategia venne presa in seria considerazione, almeno nella fase iniziale, e prima della sua attuazione, l’opzione secessionista.
Non sono, tuttavia, sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio gli elementi acquisiti in ordine alla correlazione causale fra tali circostanze. Non è, insomma, sufficientemente provato che l’organizzazione mafiosa deliberò di attuare la “strategia della tensione” per agevolare la realizzazione del progetto politico del gruppo Gelli – Delle Chiaie, né che l’organizzazione mafiosa abbia approvato l’attuazione di un piano eversivo-secessionista per effetto di contatti col gruppo Gelli – Delle Chiaie.
Ed è infatti ipotizzabile - allo stato degli atti - anche una spiegazione alternativa: e cioè che il “piano eversivo”, concepito in ambienti “esterni” a Cosa Nostra, sia stato “prospettato” a Cosa Nostra [È l’unica ammissione che ha sostanzialmente fatto in argomento il collaboratore più vicino a Salvatore Riina durante la stagione stragista, e cioè Giovanni Brusca] al fine di orientarne le azioni criminali, sfruttandone il momento di “crisi” dei rapporti con la politica e che l’organizzazione mafiosa ne abbia anche subito – anche temporaneamente – l’influenza, senza però impegnarsi a pieno titolo nel piano eversivo-secessionista.
Peraltro, la verifica di tale ipotesi, e cioè dell’eventuale influenza di “soggetti esterni” sulle determinazioni di Cosa Nostra nel la fase iniziale della strategia della tensione attuata nel 1992, esula dallo specifico oggetto del presente procedimento, costituendo invece materia del separato procedi mento penale concernente l’omicidio dell’onorevole Salvo Lima, cui si è già fatto cenno.
In conclusione, il pm ritiene che l’insufficiente prova di un nesso di casualità fra l’attività finalizzata alla costituzione dei movimenti leghisti meridionali e l’accordo eversivo-criminale maturato all’interno di Cosa Nostra, nonché l’incompletezza della prova in ordine alla “permanenza” dell’accordo eversivo secessionista negli anni successivi al 1991, non consentono di sopperire all’insufficienza del materiale probatorio in ordine al requisito organizzativo, indispensabile per la configurabilità del reato di cui all’articolo 270 bis c.p., con conseguente analogo giudizio in relazione all’altro delitto per cui si procede (artt. 110 e 416 bis c.p.). Per tutte le ragioni sopra esposte, quindi, non sembrano essere stati acquisiti, allo stato, elementi probatori tali da ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 270 bis c.p., né quella – correlata – di cui all’art. 110 e 416 bis c.p. nei confronti dei soggetti indagati anche per tale ipotesi di reato.
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