Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci delle motivazioni della sentenza di secondo grado del processo sulla trattativa stato-mafia.


Se, dunque, la precedente condanna irrevocabile (per di più per fatti fino al 1992) non costituisce un viatico sufficiente per dimostrare che il predetto Dell'Utri, che non è stato partecipe dell’organizzazione, si sia senz’altro incontrato con Berlusconi nel 1994 per recapitargli la minaccia mafiosa capace di integrare il reato di cui all’art. 338 c.p., non risulta neppure risolutivo l’ulteriore elemento, parimenti deduttivo, teso a valorizzare certe acquisizioni probatorie non esistenti all’epoca del primo processo a carico di Dell'Utri.

Il riferimento è alle emergenze che consentono di riscontrare le propalazioni di Giusto Di Natale ricavabili dalle intercettazioni delle parole di Salvatore Riina nel 2013 (v. Parte Quarta, Capitolo 2, paragrafo 2.13.1 della sentenza di primo grado) ed essenzialmente dirette a comprovare che i pagamenti delle società di Berlusconi siano proseguiti almeno fino al dicembre del 1994.

Anche tale acquisizione, per quanto di indubbia rilevanza (se si vuole: “di straordinaria rilevanza”), possiede tuttavia un carattere circoscritto ai fini di interesse, ossia per dimostrare che Berlusconi abbia davvero ricevuto (subendola) la minaccia stragista tramite Dell'Utri a completamento dei canale di comunicazione Mangano/Dell'Utri e, appunto, Dell'Utri/Berlusconi.

Questa Corte non intende (tutt’altro) sottovalutare il significato delle captazioni delle esternazioni di Riina durante la sua detenzione, delle dichiarazioni capaci di confermare quanto riferito al collaboratore Di Natale circa il pagamento di 250 milioni di lire da annotare nel “libro mastro” per le antenne televisive delle società di Berlusconi - un versamento da registrare sotto il nome “u sirpiente”, con riferimento al simbolo del gruppo Fininvest ovvero dell’ancora più iconico simbolo di “Canale 5”, installate sul Monte Pellegrino a Palermo:

Di Natale: E in questo caso mi sto ricordando che in una di queste annotazioni una volta venne il Guastella, non mi portò il denaro, ma mi disse di annotare duecento cinquanta milioni di lire, dice: scrivici u sirpiente, dice, che queste sono le antenne televisive di Berlusconi che si trovano a Monte Pellegrino:

P.m Del Bene: - E u serpente stava per cosa?:

Di Natale: - Il biscione, insomma, volgarmente il biscione che c’era nella pubblicità di Mediaset, invece di scrivere biscione un ha detto scrivi u sirpiente. in siciliano, per capire che si trattava delle antenne televisive di Monte Pellegrino”.

Ma è proprio quanto riferito dal Riina che porta a ritenere che questi pagamenti prescindessero da un’attività di intermediazione diretta da parte di Dell'Utri. Tanto meno un’interlocuzione tale da richiedere dei dialoghi con Berlusconi, in quel momento impegnato nel suo incarico di neo Presidente del Consiglio.

Occorre accennare al fatto che il racconto del collaboratore Di Natale era stato originariamente ritenuto “incerto e confuso” tanto da finire per essere disatteso su un piano probatorio, di modo che i pagamenti da parte di Silvio Berlusconi a Cosa nostra erano stati ritenuti provati soltanto fino al 1992, epoca alla quale, pertanto, era stata ancorata la conclusione della condotta criminosa contestata al predetto Dell'Utri, definitivamente condannato, difatti, per il reato aggravato di cui agli artt. 110 e 416 bis c.p. commesso sino al 1992.

Le confidenze di zio Totò in carcere

Nel rispetto di questo giudicato, va tuttavia considerato che nel presente processo, per un reato differente da quello allora ascritto a Dell'Utri, sono state acquisite le intercettazioni dei colloqui effettuati nel 2013 da Salvatore Riina con un altro detenuto, in particolare Lorusso Alberto. Più esattamente, durante il colloquio registrato il 22 agosto 2013, Riina raccontava a questo suo interlocutore che Berlusconi versava la somma di duecentocinquanta milioni: […].

Si tratta dello stesso importo, di 250 milioni di lire esattamente, che è stato fatto annotare a Di Natale Giusto nel “libro mastro” nel 1994 e se viene così riscontrato in modo puntuale quanto riferito dal predetto Di Natale (il quale, per di più, indicando proprio quella somma si era distinto rispetto a quanto era sino ad allora noto, per averlo riferito, ad esempio, Cancemi con dichiarazioni ampiamente riportate sulla stampa, circa dei pagamenti di un importo minore e pari a 200 milioni di lire), tuttavia da tale prova sopravvenuta (almeno rispetto al giudicato formatisi per il Dell'Utri) risulta che i pagamenti fossero inseriti in un percorso consolidato, come affermato a chiare lettere dallo stesso Riina: “... ogni sei misi... ducentucinquanta!”.

Unendo questi dati può allora ritenersi che, almeno fino al 1994, Cosa nostra”ricevette effettivamente la somma di lire 250 milioni per le “antenne” a Palermo dalle”società televisive riferibili a Berlusconi, secondo una dinamica tanto consolidata che Salvatore Riina, conversando con il suo compagno di detenzione, si compiaceva di tale periodicità semestrale per dei soldi che, a suo modo di dire, spettavano a Cosa nostra (“... Soddi chi spittavanu a niatri...”).

Ciò posto non è invece certo, come ritenuto con la sentenza di primo grado, se sino alla predetta data (dicembre 1994) Dell'Utri, che faceva da intermediario con “cosa nostra” per tali pagamenti, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti con i mafiosi, ottenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versarle o farle versare, appunto, a “cosa nostra “; così come non può giungersi all’ulteriore conclusione per cui v’è la prova che Dell'Utri interloquiva con Berlusconi anche riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale (1994,) nel quale incontrava Vittoriio Mangano per le problematiche relative alle iniziative legislative che i mafiosi si attendevano dal governo.

Escluso, infatti, che Dell'Utri si occupasse materialmente, ogni sei mesi, del pagamento di una così esosa somma (pari a 250 milioni di lire) o che si intermediasse di volta in volta con Berlusconi perché tale versamento continuasse con quella cadenza, pare decisamente più credibile che questo pagamento, come del resto inconsapevolmente ammesso dal Riinq durante il suo dialogo intercettato, avvenisse in base ad un progetto estorsivo prestabilito che non necessitava di successive interlocuzioni, tanto meno da parte di Dell'Utri con Berlusconi.

Al più v’è da ritenere che delle eventuali rimodulazioni quanto ai tempi, all’importo o ad ipotetiche altre problematiche dei pagamenti, di cui tuttavia non v’è sentore, queste si avrebbero potuto meritare un nuovo intervento di Dell'Utri per mettere a punto l’evoluzione del rapporto estorsivo che, diversamente, era instradato su binari prestabiliti tali da non comportare un’attività ulteriore del predetto imputato quale mediatore tra Cosa nostra e Berlusconi.

Senza dimenticare che un conto erano i rapporti che Dell'Utri ha intessuto in riferimento alle questioni del gruppo societario riferibile a Berlusconi e legate anche al pagamento delle tangenti mafiose e altra, diversa, era la questione della pressione dell’organizzazione mafiosa tale da integrare il reato aggravato di cui all’art. 338 c.p. nei confronti di Berlusconi quale Presidente del Consiglio e dunque di rappresentante del governo della Repubblica.

Non bastano logica e ipotesi

Malgrado emerga che l’imprenditore Berlusconi, come desumibile dalla menzionata intercettazione del Riina e ben prima per quanto riferito dal Di Natale, fosse soggetto ai pagamenti in epoca anche successiva al maggio del 1994, questo fatto non prova, di per sé, che vi sia stata un’interlocuzione sul tema tra Dell'Utri e Berlusconi. Tanto meno si può ritenere, sempre secondo un criterio ulteriormente inferenziale che si affidi all’alta probabilità logica, che nel contesto di questi ipotetici dialoghi sia stato inserito anche l’argomento della minaccia stragista che Cosa nostra rivolgeva al governo della Repubblica per assicurarsi il rispetto degli accordi preelettoral i intrecciati con Dell'Utri.

Se, dunque, manca la prova di questo dialogo sulle tangenti mafiose così come dell’interlocuzione ulteriore, sempre tra Dell'Utri e Berlusconi, anche sulle problematiche relative alle iniziative legislative da incanalare verso un certo percorso, va detto che un ulteriore elemento di “conforto” (così definito dalla sentenza impugnata) alla conclusione che ha portato a ritenere che Dell'Utri abbia riferito a Berlusconi delle sollecitazioni mafiose veicolategli da Mangano, è stato tratto dal primo incontro, collocabile in questa fase, tra Mangano e Dell'Utri, ossia quello del giugno-luglio 1994, di cui ha riferito il collaboratore di giustizia Cucuzza e per il quale sono stati acquisiti per la prima volta in questo processo eccezionali riscontri esterni, alcuni dei quali anche di natura individualizzante nei confronti di Dell'Utri ...(così la sentenza di primo grado).

Vengono in rilievo quelle anticipazioni che Vittorio Mangano ha raccolto da Dell'Utri, riferendone il contenuto a Cucuzza, circa alcuni interventi legislativi che si ponevano in linea con i desiderata di Cosa nostra.

Allo stesso modo, quanto all’incontro del dicembre del 1994, si è fatto leva sulle anticipazioni normative. questa volta imputabili a ulteriori iniziative del partito capeggiato da Berlusconi, anch’esse ignote all’opinione pubblica ma anche queste in linea con le aspettative dell’associazione mafiosa.

Riservando di approfondire tali argomenti nel prosieguo, va anticipato che questa Corte condivide solo in parte il ragionamento tratteggiato dalla sentenza ed esattamente soltanto nella misura in cui da tali indici fattuali si può ottenere conferma che anche in questo periodo (cioè dopo che il governo Berlusconi si era insediato) proseguirono gli incontri tra Mangano e Dell'Utri. Viceversa, da questi stessi dati, non è possibile trarre una conferma ulteriore ed altrettanto sicura circa il fatto che del contenuto ditali incontri sia stato messo al corrente anche Silvio Berlusconi.

Permangono, infatti, persuasivi elementi logico razionali per ritenere che siffatte iniziative, che pure si collocarono nel solco della condotta delittuosa in esame, voluta ed avviata in specie da Bagarella e Brusca, non abbiano raggiunto - almeno di tale esito non vi è certezza probatoria - la parte offesa, individuata nel governo della Repubblica allora in carica, e, più esattamente la persona di Berlusconi, quale soggetto di vertice ditale compagine governativa.

In questo senso v’è da ritenere che la condotta realizza da Vittorio Mangano su input degli altri soggetti mafiosi, tra cui Cucuzza (ormai deceduto al pari dello stesso Mangano), Bagarella e Brusca, tutti partecipi ditale progetto criminoso, si sia arrestata, in specie per i predetti Bagarella e Brusca, imputati in questo processo, alla fase del tentativo ai sensi degli am. 56 e 338 c.p..

Ma prima di giungere a questa conclusione è bene muovere da ciò che la sentenza di primo grado ha illustrato per trarre conferma degli ultimi incontri di Mangano con Dell'Utri anche a seguito della nomina del primo governo Berlusconi; un argomento che verrà tuttavia affrontato dopo aver esplorato, nel paragrafo che segue, la parallela e preliminare questione dei limiti del giudicato formatisi a carico di Marcello Dell'Utri.

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