Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della relazione della Commissione parlamentare Antimafia della XVII Legislatura, presieduta da Rosy Bindi per capire di più il ruolo delle logge massoniche negli eventi più sanguinari della storia repubblicana


In realtà, tra i pochi casi (su 138 logge sciolte) in cui è stata rinvenuta documentazione pressoché completa si cita la loggia “Rocco Verduci” del Grande Oriente d’Italia.

Atteso il cospicuo numero di casi rilevati di logge abbattute, per un principio di economia dei tempi d’inchiesta, si è reso pertanto necessario limitare gli approfondimenti ad un campione selezionato di logge.

In primo luogo, sono state esaminate le logge del GOI abbattute nel reggino (logge di Gerace, Locri e Brancaleone), citate dal gran maestro Bisi nel corso delle sue audizioni quali logge sciolte in Calabria durante la sua granmaestranza per ragioni, a suo dire, di natura formale e organizzativa.

Sulla loggia di Gerace, la “Verduci”, si ritornerà più volte nel corso della relazione in quanto indicativa di plurime situazioni ritenute emblematiche ai fini della presente relazione, mentre, in questa sede, ci si limiterà alla questione della sua infiltrazione mafiosa.

Peraltro, parte delle vicende di questa officina massonica sono già note anche alla stampa atteso che, come si vedrà, la notizia della sospensione della loggia per infiltrazioni malavitose aveva avuto a suo tempo ampio risalto negli organi di informazione calabrese destando l’attenzione dell’opinione pubblica calabrese sull’interesse della ‘ ndrangheta ad infiltrarsi nella massoneria.

Le tormentate vicende di tale articolazione avevano avvio il 28 dicembre 2007 quando dieci appartenenti ad altra loggia del GOI (“I Figli di Zaleuco, n. 995” di Gioiosa Jonica) sottoscrivevano l’atto per fondare la “Rocco Verduci”.

Secondo quanto si legge nella documentazione in sequestro, ad avviso di un massone protagonista di quelle vicende, tra i fondatori di fatto della nuova officina vi sarebbe stato anche un undicesimo fratello, già appartenente alla "Figli di Zaleuco” e massone del GOI sin dal 1981, non risultante dagli atti.

Si trattava di un medico incensurato, impiegato presso la ASL di Locri, ma figlio di un notissimo esponente di primo piano della ‘ndrangheta della Locride, riconosciuto come uno dei capi storici dell’organizzazione mafiosa calabrese.

Per inciso, va detto che anche un altro figlio del medesimo capomafia, dipendente regionale, secondo i dati estratti dalla Commissione, è risultato presente negli elenchi della Serenissima Gran Loggia d’Italia, con il risultato oggettivo che una delle famiglie più potenti della ‘ndrangheta calabrese, ha goduto di un proprio presidio, tramite familiari incensurati, in due diverse organizzazioni massoniche.

A poco più di anno dall’atto di fondazione, la loggia veniva effettivamente costituita il 18 aprile 2009 (cd. innalzamento delle colonne) con decreto del gran maestro Gustavo Raffi che disponeva, altresì, il transito nella nuova articolazione dei medesimi dieci membri fondatori e, tra questi, pertanto, non appariva quell’undicesimo fratello, cioè il figlio medico del capomafia, che, invece risulterà formalmente iscritto nella loggia solo due anni dopo, ovvero a partire dal 7 giugno 2011.

Nel luglio 2013, un massone della “Rocco Verduci”, avvocato e magistrato onorario presso un ufficio giudiziario calabrese, denunciava al vertice calabrese del GOI il fatto che alla loggia appartenessero soggetti vicini alla malavita organizzata o comunque aventi stretti rapporti di parentela con esponenti della ‘ndrangheta e che questa situazione andava via via ad essere insostenibile tenuto anche conto che nell’ultima tornata di iniziazione di sei nuovi “ profani” erano stati presentati tre candidati (cd. bussanti) dal profilo a dir poco problematico: uno, infatti, era indicato come affiliato alla ‘ ndrangheta” , l’altro noto per essere il figlio di un soggetto arrestato per mafia nell’operazione “Saggezza” e, infine, il terzo era anche lui figlio di uno ‘ndranghetista arrestato per associazione mafiosa.

Per i primi due soggetti, il magistrato massone era persino in grado di documentarne le relative vicende, ed invero, affermava di aver prodotto ai suoi superiori massoni copia di specifici atti giudiziari di cui era potuto entrare in possesso in ragione della sua funzione di magistrato onorario.

Tali circostanze furono dapprima comunicate al responsabile e agli altri vertici della loggia (il maestro venerabile pro tempore e il “ consiglio delle luci” ) ma non sortirono l’effetto sperato di allontanare tali individui, tant’è che il massone-magistrato onorario si sentì costretto ad investire della questione direttamente il vertice regionale calabrese del GOI anche al fine di interrompere la procedura di iniziazione dei nuovi bussanti e di porre un freno al dilagare della presenza ‘ndranghetista nella loggia.

In questa nuova segnalazione, venivano riferiti ulteriori gravi fatti. In primo luogo, si descrivevano con dovizia di particolari tutte le occasioni d’incontro in cui il magistrato massone aveva messo in guardia i suoi superiori di loggia sui rischi di infiltrazione ‘ndranghetista, condividendo con costoro informazioni, a suo dire, assolutamente attendibili sui nuovi bussanti in quanto acquisite da un ufficiale delle forze di polizia operanti su Locri.

Peraltro, al fine di suffragare la veridicità delle proprie affermazioni, non esitava a chiamare in causa tra i testimoni in grado di confermare l’esistenza di tali incontri e circostanze, anche un dipendente amministrativo della Procura della Repubblica di Locri, anch’egli massone del GOI ma appartenente ad altra loggia.

In secondo luogo, venivano riferiti i nomi di quattro fratelli ritenuti contigui ad ambienti malavitosi, ovvero, due tra i massimi dignitari di loggia (uno dei quali era indicato quale legale di fiducia di familiari del predetto capomafia), nonché altri due, di cui uno era il citato figlio medico del capomafia e, l’altro, il figlio di un noto usuraio della locride poi assassinato.

Tentativi di corruzione per aggiustare i processi

Da ultimo, ed è forse l’aspetto più inquietante, dagli atti ispettivi della loggia emergevano elementi che inducono a ritenere che all’interno della “Rocco Verduci” , in almeno due circostanze, si fossero verificate situazioni sintomatiche di gravi tentativi di corruzione in atti giudiziari in relazioni a vicende processuali che intersecano il mondo della ‘ndrangheta calabrese. Ma di questo si tratterà più avanti.

Tali allarmanti segnalazioni davano luogo così ad una “ispezione massonica” disposta dal gran maestro Raffi nel corso della quale gli incaricati, oltre ad approfondire le vicende denunciate, raccoglievano una plastica dichiarazione di un massone di antica data secondo il quale, in conseguenza della presenza di soggetti aderenti o contigui alla ‘ndrangheta, diversi altri massoni calabresi avevano deciso di mettersi in sonno “per non avere a che fare con soggetti legati alla malavita” e che, anzi, egli stesso, già maestro venerabile di altra loggia della Locride si era sentito moralmente costretto, sin dal dicembre del 2012, a presentare una lettera formale di assonnamento.

Al di là degli accertamenti degli ispettori sulla loggia di Gerace, va detto che quei sospetti trovano un certo riscontro nell’analisi condotta dalla Direzione Investigativa Antimafia sul conto di tutti i membri della “Rocco Verduci” , gran parte dei quali ora in sonno o espulsi, altri invece tutt’ora nei ranghi del GOI in altre logge dell’alto ionico reggino. Su venti associati, tra membri allora attivi e bussanti, cinque risultano collegati con soggetti aventi precedenti di polizia per associazione mafiosa e, talvolta, anche per traffico di stupefacenti, altri due, invece, pregiudizi per riciclaggio di proventi illeciti ed uno per estorsione. Ulteriori tre aderenti alla loggia annoverano precedenti di polizia per associazione di tipo mafioso, omicidio volontario, estorsione e tra questi, in tempi risalenti, vi è anche chi ha scontato la misura di pubblica sicurezza dell’obbligo di soggiorno.

Si aggiunga che, alla loggia “Rocco Verduci” aderivano medici ospedalieri della disciolta ASL n. 9 di Locri, dipendenti pubblici, avvocati e imprenditori del luogo.

Un quadro dunque desolante, in cui i professionisti o erano contigui alla mafia o, tramite quella loggia, coltivavano vincoli di fratellanza con soggetti condannati o in odore di 'ndrangheta, o inseriti nel narcotraffico o coinvolti nel riciclaggio di proventi illeciti.

Il 20 settembre 2013, il gran maestro Raffi emetteva il provvedimento cautelare di sospensione della loggia motivandolo anche per “un possibile inquinamento, addirittura di carattere malavitoso, riconducibile all’ambiente circostante, che ingenera inquietudine e disarmonia anche tra i fratelli della Circoscrizione” .

Pochi mesi dopo, il 20 giugno 2014, Stefano Bisi, divenuto il nuovo gran maestro del GOI, revocava la sospensione della loggia sostenendo che “allo stato sono venute meno le ragioni che consigliarono l’adozione del provvedimento cautelare”.

Tuttavia, la gravità di quella situazione, lo costringeva più tardi, in data 21 novembre 2014, a sciogliere loggia, senza però esplicitarne in modo chiaro le ragioni ed anzi, concedendo la possibilità a molti di quegli stessi fratelli “malavitosi” iscritti alla “Rocco Verduci” di chiedere l’affiliazione ad altra loggia della stessa circoscrizione .

Anche questo aspetto della vicenda sarà approfondito più avanti.

© Riproduzione riservata