La decisione di bloccare le esportazioni extra europee dei vaccini prodotti in Italia da Astrazeneca infrange una convinzione ritenuta finora inattaccabile: la libera circolazione delle merci (e dei capitali), l’asse portante su cui si è incardinata la globalizzazione di fine Novecento.

L’idea di regolare nazionalmente i flussi commerciali di beni e servizi era stata espunta dal vocabolario della politica. I mercati si autoregolavano, non si doveva intervenire a disturbare il loro funzionamento, inevitabilmente armonioso e per tutti fruttuoso. In effetti la globalizzazione ha consentito a centinaia di milioni di persone di uscire dalla povertà estrema, e ad altrettanti di raggiungere standard di vita accettabili in tante parti del mondo, a incominciare dalla Cina.

Il regolamento Ue

Quanto proposto e adottato dal governo italiano rientra in un quadro di cambiamenti in corso da tempo a livello comunitario, per quanto poco mediatizzati. Mario Draghi ha infatti agito, in accordo con le istituzioni europee, attuando un regolamento emanato dall’Ue già nel 2015. E un altro regolamento, approvato nell’autunno scorso, sottopone gli investimenti provenienti da paesi extra-UE alla verifica dell’esistenza di un potenziale vulnus all’economia di ciascun paese membro.

In altre parole gli interessi nazionali, e per estensione quelli dell’Unione Europea, sono definiti dai decisori politici non più dal mercato. Per fortuna alcuni anni fa venne scongiurata l’approvazione del Trattato Transatlantico di liberalizzazione commerciale tra Europa e Stati Uniti dove si mettevano sullo stesso piano giuridico imprese private e stati, assegnando alle prime praticamente poteri sovrani.

 Il vento è cambiato e la pandemia ha reso evidente come la regolazione pubblica, lo stato, la politica, hanno ripreso in mano le redini della vita dei cittadini. Mutatis mutandis questo vale anche per il conflitto apertosi in vari stati con Facebook.

Arginare i privati

Il ritorno dello stato regolatore ha davanti a sé intere praterie di intervento per riequilibrare la bilancia fin qui inclinata dalla parte degli interessi privati. Le cattive esperienze del nostro passato, dove intervento pubblico si coniugava con spreco e clientelismo – cause prime benché non esclusive del nostro declino –   non possono essere invocate per mantenere profonde distorsioni nella distribuzione del reddito e nelle condizioni di vita; o, meglio, per non rimuovere le cause delle differenze di opportunità.

Un colpo assestato a questo mondo uberizzato l’ha inferto il tribunale di Milano obbligando le società di delivery ad assumere tutti coloro che lavorano in maniera falsamente indipendente per loro. Una goccia nel mare se si pensa all’espulsione dal mercato del lavoro di tante donne e tanti giovani che erano impiegati in lavori precari, i lavoretti da "gig economy” basati su saltuarietà e occasionalità :  sono stati i primi ad essere stati travolti.

Alle storture e diseguaglianze nel mondo del lavoro si affiancano quelle, ben più gravi, nell’educazione. I tagli decennali al sistema educativo di ogni livello, sostenuti ideologicamente da una esaltazione della “libertà di scelta” a favore dell’istruzione privata, hanno prodotto in questi anni un divario drammatico di conoscenze e competenze nelle fasce giovanili che, oltretutto, in quest’ultimo anno si aggraverà esponenzialmente.

La miccia

Meglio ripeterlo ancora: non c’è nulla di più nefasto della chiusura delle scuola e della beffa della didattica a distanza per perpetuare le diseguaglianze educative già esistenti,  e quindi le prospettive occupazionali.

Evidentemente non è chiaro che così stiamo accendendo la miccia per una futura esplosione della nostra società, e, di riflesso, per una forte tensione sulle istituzioni democratiche.

Una montagna di studi attesta che il non-voto , l’apatia, il rifiuto  a partecipare a qualsiasi iniziativa politica, stanno aumentando; e attecchiscono soprattutto tra le persone con meno risorse economiche ed educative.

E’ il ritratto dei forgotten men, quella platea di esclusi che hanno alimentato il consenso a Donald Trump e ai populisti europei. Non si è arrestata l’onda del trumpismo in America, né quella dei populisti europei, benché il manto d’agnello indossato da Matteo Salvini faccia pensare che si sia chiuso un ciclo.

Basterebbero uno sbarco massiccio sulle nostre coste, o un delitto feroce di un immigrato, o un attentato di terroristi islamici, per far ripartire tutta la narrazione estremista e xenofoba.

In questo contesto il governo Draghi poggia su un terreno fragile perché la sua stessa esistenza ripropone tutte le narrazioni anti-politiche prodotte in questi anni e dalle quali hanno tratto vantaggio prima i 5Stelle e poi, soprattutto, la Lega.

I forgotten men

Considerando quanto dimostrano le ricerche, e cioè che il nocciolo dell’elettorato leghista è mobilitato da pulsioni anti-europee, anti-establishment e anti immigrati, e quindi è costituito in buona parte dai forgotten men nostrani, difficilmente costoro troveranno corrispondenza nell’attuale governo, al di là della presenza dei ministri leghisti. Per cui, o andranno altrove, o si rifugeranno ancora di più nell’astensione.

A meno di un radicale cambiamento di rotta nelle politiche economiche e sociali con una serie di interventi massici in loro favore: una sorta di reddito di cittadinanza al quadrato.

Solo se queste componenti sociali di “esclusi” si sentiranno tenute in conto e protette, allora il rischio di una improvvisa apparizione di gilet gialli  e di manifestazioni anti-sistemiche sarà attenuato.

© Riproduzione riservata