Dei 27,7 miliardi allocati alle infrastrutture di trasporto, 23,6 sono dedicati all’Alta Velocità e alla manutenzione stradale (non è specificato in che quota). Dal costo degli interventi in alta velocità elencati nella bozza del documento del governo, si può affermare con certezza che l’alta velocità assorbirà una larga parte delle risorse.

Altrimenti si potrebbe parlare solo di “apertura dei cantieri”. Rimane poi ancora indefinito quali saranno risorse europee e quali nazionali, ma data la loro sostituibilità il problema non sembra rilevante.

Gli obiettivi dell’alta velocità

Gli obiettivi dichiarati, vastissimi e onnicomprensivi, sono riconducibili a due essenziali: il cambio modale (cioè lo spostamento dalla strada al treno, essenzialmente per motivi ambientali), e una sorta di “equità territoriale”: tutti devono avere livelli di mobilità simile.

Già questi obiettivi lasciano molto perplessi: il cambio modale è perseguito da trent’anni in Italia, con sussidi altissimi alle ferrovie e tassazione al modo stradale altrettanto elevata, con risultati molto modesti in termini quantitativi, per ragioni strutturali della domanda, e ancora più modesti in termini ambientali (sulla ripartizione modale è allegata anche una tabella con numeri errati, e che comunque ignora le dimensioni economiche del fenomeno, che vedrebbero la ferrovia avere un ruolo del tutto marginale nei trasporti, dell’ordine del 2 per cento).

L’equità ferroviaria territoriale appare poi un concetto del tutto indifendibile: equità quali ne siano i costi rispetto a soluzioni con altri modi di trasporto? Quale che sia la domanda servita a fronte di quei costi?

Chi paga

Si omette poi un’altra dimensione economica fondamentale in un piano: tra le lodi sconfinate alle virtù del modo ferroviario, sfugge che questo è, e sarà, quasi interamente a carico delle casse pubbliche, al contrario per esempio della strada, che genera allo Stato circa 40 miliardi netti all’anno, inclusi i trasporti di lunga distanza via autobus, che servono la parte della popolazione a più basso reddito.

Delle analisi a supporto di questa scelta infrastrutturale è impossibile parlare, semplicemente perché non ne è presentata alcuna, né risulta che esistano.

E questo per solide scelte politiche: si tratta di “opere strategiche”, definite tali dall’allora ministro dei Trasporti Graziano Delrio, che teorizzò che in quanto “strategiche” non fossero soggette ad alcuna analisi. Affermazione davvero sconcertante, essendo a buon senso vero l’esatto contrario.

Comunque rimane il fatto che nel Pnrr non sono allegate né analisi economiche, né finanziarie (costi-ricavi, molto più semplici), ma nemmeno di domanda, e questo si spiega bene con il fatto che tali costosissime opere (50 milioni al chilometro) risulterebbero drammaticamente sottoutilizzate rispetto alla capacità offerta, anche semplicemente per ragioni demografiche.

Quanto linee ferroviarie deserte possano servire alla crescita delle regioni del mezzogiorno resta difficile da capire.

I treni energivori

In termini strettamente ambientali poi, occorre segnalare che infrastrutture così “energivore” nella fase di costruzione (ferro, cemento, macchine per movimento terra), se non molto utilizzate possono presentare un bilancio ambientale complessivo negativo. Ma non ci è dato sapere, anche qui solo affermazioni ideologiche, nessun numero a supporto.

Infine non sono presentate nemmeno analisi “di moltiplicatore” che consentano per esempio di valutare l’occupazione creata per euro pubblico speso. Anche qui, la motivazione sembra chiara: si tratta di opere capital-intensive, e questo emergerebbe dai numeri. Meglio non sollevare dubbi.

La lista della spesa

Vediamo ora sommariamente le singole opere così come sono elencate nel Pnrr:

«Al Nord la linea AV Milano-Venezia, il raddoppio della Verona-Brennero, Liguria-Alpi e Torino-Lione, migliorando i collegamenti con i porti di Genova e Trieste; nel Centro del paese si rafforzeranno due assi Est-Ovest (Roma-Pescara e Orte-Falconara) riducendo significativamente i tempi di percorrenza ed aumentando le capacità; infine, si estenderà l’Alta Velocità al Sud lungo le direttrici Napoli-Bari e Salerno-Reggio-Calabria, velocizzando anche il collegamento diagonale da Salerno a Taranto e la linea Palermo-Catania-Messina».

Di questi progetti non è dato conoscere nemmeno i costi stimati. Si può solo affermare con certezza che ammontano a cifre imponenti, dato che per quelli noti o stimabili al costo standard di linee nuove (50 milioni al Km) la cifra totale non può essere inferiore ai 50 miliardi

(solo per l’alta velocità Salerno-Reggio, la linea del Brennero, e quella per Pescara e le linee siciliane siamo nell’ordine dei 40 miliardi, tutti a carico dell’erario, come si ricorda).

Ma nella “bengodi finanziaria” che ci attende, forse non sono i costi la fonte di preoccupazione maggiore, ma lo è certamente l’utilità di tanta spesa.

Le linee ferroviarie esistenti parallele a quelle nuove proposte sono oggi in genere (e da prima della pandemia) sottoutilizzate, e sono parallele anche a collegamenti autostradali, spesso anche loro sottoutilizzati.

Per quanto possa essere vorticosa la crescita del traffico complessivo (strettamente correlata al Pil), e per quanto traffico possa essere tolto alle infrastrutture esistenti, uno scenario di drammatica sottoutilizzazione di opere costosissime sembra molto verosimile.

Basterà un esempio: della linea Roma-Pescara (6,5 miliardi previsti) è fornita una previsione non di traffico (ci mancherebbe…) ma dei servizi che saranno offerti: un treno ogni mezzora. Circa 50 treni al giorno, molto meno della capacità di una linea a semplice binario.

E per concludere, una ciliegina sulla torta (già poco appetitosa): tutto lascia pensare che per fare in fretta si applicherà il “modello Genova”, cioè non vi saranno gare di affidamento.

Tutto tra amici, cosi si fa in fretta e l’atmosfera è più rilassata.

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