Con la fine di questo annus horribilis è ora per il Diario europeo di tracciare un bilancio delle politiche europee di contrasto alla crisi sanitaria e di rilancio dell’economia. La prima linea nel contrasto alla pandemia e alle sue ricadute economiche non poteva che essere nazionale.

L’Europa rimane un’Unione di Stati sovrani che non si è dotata di strumenti d’azione comune. È quantomeno bizzarro che in primavera a chiedersi dove fosse l’Europa fossero gli stessi che si oppongono sistematicamente a ogni cessione di sovranità.

Proteggere gli Stati

L’Europa ha comunque agito dalle retrovie con una rapidità che pochi avrebbero immaginato, isolando le finanze pubbliche degli Stati membri da pressioni esterne: la Commissione ha sospeso la vigilanza sul debito e ammorbidito la normativa sugli aiuti di Stato, consentendo interventi in favore di settori particolarmente colpiti dalla crisi.

La Bce ha aperto un ombrello protettivo varando un vasto programma di acquisti di titoli pubblici che la settimana scorsa è stato esteso fino alla primavera del 2022. Questo ha contribuito a ridurre i tassi di interesse.

Le istituzioni europee hanno anche messo a disposizione degli Stati membri prestiti per le spese più urgenti (sanità e mercato del lavoro). Che si trattasse di meccanismi esistenti come il Mes, o di nuova creazione come il Fondo Sure per i mercati del lavoro, il principio era lo stesso: l’Europa si indebita a tassi di favore e gira i fondi ai paesi che possono così risparmiare sulla spesa per interessi.

Le sorprese positive non si sono fermate qui, anzi. I paesi membri non possono provvedere in ordine sparso a “beni pubblici globali” (transizione ecologica, rilancio dell’investimento pubblico, digitalizzazione) fondamentali per il rilancio.

È questo che ha ispirato il piano Next Generation Eu che affianca il Fondo per la Ripresa al bilancio europeo stanziando una somma colossale.

Il Fondo per la Ripresa ha un valore simbolico importante, perché la Commissione si indebiterà e ridistribuirà ai paesi membri in base ai bisogni. In molti abbiamo sottolineato la linea rossa attraversata dalla Germania: abbiamo un (sia pur temporaneo e limitato) meccanismo di mutualizzazione del debito che potrebbe in futuro, se avrà successo, essere la base per un bilancio di tipo federale.

I paletti ci sono

Un ulteriore elemento positivo è la coerenza di questa strategia di rilancio con il programma di lungo periodo definito dalla Commissione nel 2019. In questo senso, gli strettissimi paletti posti per la stesura dei piani nazionali di rilancio (i Pnrr), che stanno facendo passare notti insonni nei ministeri delle Finanze di quasi tutte le capitali europee, sono da valutare con favore perché volti a garantire una coerenza d’insieme delle strategie nazionali e una maggiore efficacia nella fornitura dei beni pubblici globali.

È un peccato anzi che i Paesi membri non siano andati oltre, collaborando tra loro nella definizione dei propri piani di investimento nazionali.

Questo sottolinea una prima criticità. Anche se finanziati da debito comune, gli investimenti rimarranno appannaggio dei paesi membri. Quello che manca al Fondo per la Ripresa europeo è una dimensione specificamente europea.

Certo, era impossibile creare una vera capacità di spesa centralizzata in poche settimane; sarebbe tuttavia stato auspicabile che fosse almeno avviata una riflessione.

Al contrario, uno dei prezzi pagati per ottenere il sostegno dei cosiddetti “frugali” a Next Generation EU è stato la riduzione dei finanziamenti per beni pubblici autenticamente europei come l'istruzione, il programma Invest Europe e la sanità.

Parte dei finanziamenti sono stati reintrodotti grazie al meritorio lavoro del parlamento europeo, ma la contraddizione rimane.

È stato desolante che il Consiglio abbia inizialmente cassato la proposta per un embrione di gestione comune della sanità (il programma EU4Health) e che gli sforzi della Commissione di portare avanti un progetto di Unione della Sanità siano di fatto ignorati.

Gli egoismi nazionali resistono

Il negoziato sul Fondo per la Ripresa come e la recente tragicommedia del veto polacco e ungherese al bilancio hanno una volta di più mostrato il peso degli egoismi nazionali ogni volta che l’Unione definisce progetti comuni.

Occorrerà riflettere su meccanismi che pur rispettando la sovranità nazionale impediscano agli interessi particolari di bloccare progetti su cui c’è l’accordo di una vasta maggioranza di Stati.

Infine, tra le cose che non hanno funzionato possiamo mettere il Mes sanitario, di cui abbiamo abbondantemente discusso. Era chiaro fin dall’inizio che la scelta di usare uno strumento nato in un altro momento e con altre finalità per sostenere la spesa sanitaria dei paesi fosse azzardata.

Il fatto che nessun paese vi abbia fatto ricorso dovrebbe convincerci a rottamarlo definitivamente disintossicando il dibattito italiano.

In pochi mesi l’Europa è stata capace di puntellare gli Stati nel loro sforzo di contrasto alla pandemia e a proiettarsi nel futuro con un piano per la ripresa di medio-lungo periodo. Alla luce dei disastri degli anni della crisi greca questo non era scontato ed è motivo di moderato ottimismo.

La crisi ha tuttavia mostrato criticità, soprattutto nel processo decisionale, che non andranno messe sotto ad un tappeto una volta superata la fase più critica della crisi. Sono temi su cui ci sarà molto da lavorare e sui quali torneremo nel 2021.

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