Putin punta a proseguire la guerra. Non sarà l’incontro in Florida a trattenerlo

A giudicare «dalla rapidità con cui procedono le operazioni, il nostro interesse per una ritirata degli ucraini da ciò che resta del Donbass è ridotto a zero (svoditsja k nulju)». Basta questo sintetico e impassabile commento, espresso dal presidente Vladimir Putin qualche ora prima dell’incontro tra Donald Trump e Volodomyr Zelensky in Florida, per smorzare qualsiasi entusiasmo sull’esito di questa trattativa. Il Cremlino ritiene che la lenta ma costante avanzata dei soldati russi nei territori non ancora occupati del Donbas comporterà un ulteriore indebolimento politico del presidente ucraino e una difficoltà sempre più evidente dell’esercito ucraino, privando l’aggredito di qualsiasi posizione di forza contrattuale. Il presidente Usa è più cauto nei proclami, ribadendo che Zelensky «non ha le carte» per affrontare l’aggressore, nonostante la recente incursione di droni contro la residenza di Putin. Un’azione che Mosca ha strumentalizzato nei soliti termini narrativi: l’ennesimo attacco terroristico dell’Ucraina che non vuole la pace – anche se Kiev respinge al mittente di aver fatto partire l’attacco – così da inasprire le ritorsioni russe e allontanare la fine della guerra. Il ministro degli Esteri russo ha annunciato «contrattacchi» e ha detto che «la posizione negoziale russa verrà rivista». Mosca procrastina Al cospetto di Trump, Zelensky aveva astutamente dimostrato un’apertura verso alcune richieste della controparte russa per cercare di evitare il disimpegno totale americano; sottoposto a pressioni politiche esterne sull’opportunità di un referendum mai contemplato per questioni di sicurezza, aveva anche affermato durante la conferenza stampa che si tratti di un voto del Parlamento o di una consultazione popolare «per ogni genere del piano», dato che «è la società che deve scegliere perché è la sua terra». Il punto è che però, a prescindere dalle mosse politiche ucraine ed europee, il presidente Putin pare non aver fretta di chiudere il conflitto per diversi motivi. Economicamente, gli effetti delle sanzioni americane contro i colossi petroliferi – Gazprom e Rosneft – hanno ridotto considerevolmente gli introiti energetici della Russia, ma non sono ancora determinanti per un collasso del sistema. Politicamente, dopo aver bloccato tutti i tentativi di destabilizzazione interna nelle consuete modalità congeniali al Cremlino e la clamorosa sconfitta strategica del 24 febbraio 2022 che non ha consentito di attuare il vero piano politico e militare – il cambiamento del regime ucraino -, la rielezione del presidente Putin ha riparato “le crepe interne alla struttura monolitica” e gettato le basi per un nuovo piano d’azione di più lungo respiro. Con Trump e con Putin: la ragnatela nera anti-Ue Se la conquista dell’intero Donbas e l’acquisizione di un asset strategico come la più grande centrale d’Europa a Zaporizhija sono, ad oggi, due punti incontrovertibili e manifesti per il Cremlino, è altresì vero che la questione delle elezioni presidenziali in Ucraina ovvero l’uscita di scena di Zelensky rimane nello sfondo, ma è ritenuta dirimente, anche se con esito incerto, per evitare di perdere l’Ucraina dalla propria sfera d’influenza. Da qui, la condivisione, ad esempio, di intenti tra Putin, Trump e Xi Jinping di una nuova ridefinizione dell’ordine internazionale e di spartizione in nuove aree geopolitiche di interesse. Militarmente, le perdite subite tra le fila dell’esercito russo sono considerate un sacrificio “necessario” per la difesa della patria. Ma se queste sono succintamente le principali considerazioni che inducono il Cremlino ad insistere sulla resa/capitolazione dell’Ucraina, rimane la variabile che ha sempre contraddistinto la storia dell’Impero sovietico e russo: l’imprevedibilità. Non è detto che il prossimo 23 febbraio 2026 Putin approfitti della “Giornata dei Difensori della Patria” per annunciare la conquista di tutto il Donbas. In caso contrario, il popolo ucraino continuerà ad essere martoriato e l’Europa, chiusa nella sua incomunicabilità con il nemico, sempre più accerchiata.