La crescita dell’economia italiana è tornata sotto l’1 per cento l’anno secondo le stime del governo nel 2023 (0,8 per cento) e tale rimarrà anche nel 2024 (0,5 per cento) secondo le previsioni del centro studi di Confindustria (il governo è più ottimista e spera in una crescita dell’1,2 per cento nel prossimo anno).

Sembra una condanna dopo le speranze del rimbalzo post Covid e dell’illusione di «fare meglio della Germania» coltivata per gran parte di quest’anno.

Cause di questo andamento insoddisfacente sono senz’altro la politica antinflazionistica della Bce che ha rialzato per ben dieci volte il costo del denaro e il rallentamento mondiale in un clima perturbato dalle tensioni militari, in Ucraina e più recentemente nel Medio Oriente.

I rischi nella manovra

Ben poco poteva fare, in queste condizioni, il bilancio pubblico italiano, alle prese con un debito pubblico gigantesco che deve essere contenuto perché il rialzo dei tassi di interesse sta gonfiando la spesa per il servizio del debito.

La manovra finanziaria del governo non sarà capace di sostenere l’economia e non riuscirà a contenere sufficientemente il debito pubblico, atteso rimanere stabile rispetto al Pil pur con previsioni largamente ottimistiche relativamente alla crescita dell’economia e al contenimento della spesa pubblica, affidato in gran parte a ipotetiche privatizzazioni per 20 miliardi di euro.

L’imminente ritorno del Patto di stabilità europeo, seppure modificato per accettare una maggiore flessibilità, imporrà comunque all’Italia un profilo di riduzione del debito più accentuato di quello previsto dalla manovra finanziaria del governo. Rischiamo dunque di tornare ai tempi dell’austerità che hanno provocato ingenti danni al nostro paese in termini di degrado dei servizi pubblici e delle nostre infrastrutture.

Accelerare sui fondi

Per ovviare a questi rischi, c’è una sola via: quella di accelerare sull’utilizzo delle risorse del Pnrr che sono state affogate nel bilancio pubblico e che rischiano di subire ritardi nell’esecuzione delle opere, mentre il capitolo delle riforme, altrettanto rilevante agli occhi di Bruxelles, appare quasi dimenticato. Per un paese che non ha spazi autonomi di finanza pubblica il ricorso all’accelerazione dell’esecuzione del Pnrr appare essere la sola condizione per poter incrementare la crescita economica e garantire reputazione sui mercati finanziari.

Ricordo che il Pnrr rappresenta oltre 200 miliardi di euro da spendere prevalentemente nel corso dei prossimi tre anni. Si tratta di oltre il 3 per cento del Pil per ogni anno, circa il 16 per cento di tutti gli investimenti lordi del paese e con esso si potrebbero raddoppiare gli investimenti pubblici che lo Stato fa ogni anno. Si tratta di cifre considerevoli che dovrebbero essere parte principale se non esclusiva di un programma di governo, ben più che la riduzione (per un anno) del cuneo fiscale o quota 103 per le pensioni (per non parlare dell’obbrobrio della flat tax che premia le categorie più propense all’evasione fiscale).

Se il Pnrr diventasse la priorità del governo, pur con le revisioni fatte ed eventualmente con qualche rinuncia per opere che non si riuscisse a realizzare, come suggerito da Boeri e Perotti, e se su di esso si concentrassero tutte le amministrazioni, avviando anche progetti di riforme coerenti con gli impegni presi, allora è probabile che la crescita italiana potrebbe essere più significativa e la reputazione del nostro paese farebbe un salto di qualità. Siamo ancora a tempo per fare questa conversione, accettando una riduzione maggiore del peso del debito pubblico ma accelerando sul Pnrr come base per fare crescere il paese.

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