E’ un fatto: l’Italia non si è qualificata ai Mondiali. A dire la verità è un fatto sì, ma piuttosto increscioso: com’è possibile che la squadra campione d’Europa, titolo ottenuto appena 9 mesi fa, non sia riuscita neanche a qualificarsi facendosi battere dalla Macedonia del Nord? Cosa è successo in questi nove mesi? Ma poi come si fa a farsi battere dai macedoni, che non vincono niente dai tempi di Filippo II (359 a.C.)?

In realtà il senso di sconfitta, in generale, sembra ultimamente più comune di quanto potessimo immaginare: la pandemia non è stata ancora “vinta”, la guerra è esattamente una “vittoria”, la battaglia per il clima è data ormai per persa e sinceramente anche noi non ci sentiamo tanto bene.

Ma davvero è così grave essere sconfitti? Non possiamo fare definitivamente pace con questa condizione estremamente spiacevole ma anche molto umana?

Vediamo quali sono gli aspetti positivi della sconfitta:

La cosa positiva di non vincere niente è che non c’è nessuna posizione da difendere, nessun titolo da mantenere, nessuna reputazione di cui essere all’altezza. I vincitori avranno pure la gloria ma almeno i perdenti, in compenso, hanno la tranquillità.

Non può andare peggio. Se è vero che al peggio non c’è mai fine è anche vero che è difficile scendere sotto la soglia della sconfitta totale. E questo è uno degli innumerevoli vantaggi della sconfitta: sapere che tutto sommato, anche al peggio, si sopravvive. Più o meno.

Nessuno ti prende come esempio. I vincitori, i campioni, vengono di solito presi ad esempio da milioni di persone. Gente dalla dubbia condotta e moralità, brava magari a fare solo quelle due tre cose grazie alle quali è riuscita a vincere una qualche partita della sua vita, viene immediatamente presa ad esempio per quale ambito dell’esistenza.

Così ci ritroviamo campioni di calcio che si esprimono su questioni di politica internazionale, attori che dicono la loro sulle epidemie, e influencer che si esprimono sull’alimentazione ideale consigliando di assumere solo alghe, radici e bibitoni. Il rischio di essere vincenti è che la gente ti consideri un esempio positivo in tutto.

Se non lo sei il vantaggio invece è che non devi essere un esempio per nessuno, se non per i tuoi figli, al massimo. I quali, comunque, una volta superata l’infanzia, cercheranno subito un esempio migliore di te a cui ispirarsi. Per fortuna.

Si può migliorare, ma anche no. Perdere, in generale, significa avere ampi, ampissimi, margini di miglioramento. Se sei già al massimo gli aspetti in cui puoi migliorare sono relativamente pochi.

Se invece sei stato sconfitto è chiaro che ci siano innumerevoli punti deboli da rafforzare ed aver perso è un ottimo incentivo per farlo. Oppure no, puoi comodamente rimanere a cullare le tue incapacità nell’assoluta indifferenza di tutti. Tanto chi se ne frega di cosa fa- o meno- chi ha perso?

Non ci sono aspettative. Un mio compagno di classe, alle medie, vinse un concorso nazionale di matematica. Onestamente lo invidiavo tantissimo perché io in matematica ero negata come Valeria Marini con l’eleganza. In realtà, come disse lui stesso anni dopo, vincere quel concorso fu la più grande sfortuna della sua vita.

Da allora dovette affrontare le aspettative dei genitori convinti che fosse Einstein, le aspettative dell’insegnante convinta che fosse Will Hunting - genio ribelle, e le aspettative della fidanzata, convinta che sarebbe diventato ricco come Bill Gates.

Ecco, lui non era né geniale come Einstein, né bello e maledetto come Matt Damon, e decisamente non intraprendente come Bill Gates, e neanche come Jeff Bezos, e alla fine ha trovato lavoro come cassiere all’Esselunga.

Questa triste storia ci insegna che è sempre meglio non avere addosso il peso delle aspettative degli altri nei nostri confronti ed è molto più probabile che questo avvenga se nella vita non hai vinto niente.  Se non vinci mai nessuno si aspetta tu vinca qualcosa in futuro.

La costituzione italiana tutela il diritto al lavoro, il diritto alla salute e anche il diritto all’istruzione ma ahimè ancora non tutela il diritto più importante di tutti: il diritto di fare schifo. Fare schifo è uno dei diritti inalienabili dell’umanità: sbagliare un goal, dimenticarsi una risposta all’esame, fare un investimento sbagliato, non riuscire ad abbinare i calzini. E’ tutto legittimo.

Sì, anche se ti pagano milioni di euro per non fare, puoi fare schifo comunque. Non è un reato, è un tuo diritto. E la sconfitta è una manifestazione pratica dell’esercizio di questo diritto inalienabile. Il fare schifo solleva tutti noi dall’idea che la perfezione sia qualcosa di raggiungibile, facile e soprattutto stabile. Spoiler: non lo è. Eccetto per Beyoncè, ma quello è un altro discorso.

Se avete letto tutto fino ad ora annuendo con la testa in segno di approvazione e sentendovi finalmente capiti perché anche voi pensate che la sconfitta abbia una sua dignità ontologica mi spiace dirvi che no, non è vero. Stavo scherzando.

Essere sconfitti è orrendo. Cercate di evitarlo il più possibile e, se proprio non ci riuscite

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