Adesso tutto è possibile. I risultati del secondo turno delle elezioni amministrative cambiano drasticamente un panorama politico che fino a poche settimane fa era dominato dall’ascesa inarrestabile delle destre sovraniste, con il centrosinistra Pd-M5s rassegnato a limitare i danni. Il centrosinistra ha vinto le elezioni, senza dubbio.

O meglio, le ha vinte il Pd di Enrico Letta che ha tenuto agganciato il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte, un satellite non sempre collaborativo e mai decisivo, e tutte le frange di un “campo largo” che poi non è così largo, visto che include quasi soltanto quelli che erano nel Pd, sono usciti, e ora gli orbitano intorno perché non hanno trovato grandi spazi a sinistra o al centro.

Il successo a Trieste, risicato, non maschera la sconfitta assoluta del centrodestra che ha perso con i suoi candidati moderati (Luca Bernardo a Milano, Paolo Damilano a Torino, Catello Maresca a Napoli), con quelli sovranisti (Enrico Michetti a Roma), di destra tradizionale (Vincenzo Zaccheo a Latina).

Matteo Salvini non è riuscito a guidare una coalizione imperniata sulla sua Lega non più padana ma nazionale, Giorgia Meloni non ha dimostrato di essere in grado di approfittare degli errori tattici del suo competitor di schieramento. Silvio Berlusconi si gode i successi di Roberto Occhiuto alle regionali in Calabria e di Dipiazza a Trieste, ma non sono certo indice di una vitalità dei cosiddetti “moderati”.

Il quadro potrebbe far pensare a un declino strutturale del centrodestra con una rapida ripresa del centrosinistra a guida Pd. Se non fosse per l’astensione. Alle elezioni politiche del 2018, quelle che hanno determinato il parlamento attuale, ha votato il 72,9 per cento dell’elettorato.

Al primo turno di queste elezioni comunali ha votato il 54,6 per cento, al secondo che si è chiuso ieri pomeriggio soltanto il 43,9 per cento. A Torino, una delle sfide cruciali, il ballottaggio è stato deciso dal 42,1 per cento degli elettori (al primo turno aveva votatom il 48 per cento).

Questo significa che è molto difficile proiettare il successo del centrosinistra in questo voto locale in una dimensione nazionale. Se la destra riuscisse a mobilitare i suoi elettori che ora sono rimasti a casa, i rapporti di forza potrebbero ribaltarsi di nuovo e per il Pd la scelta di accelerare le elezioni si rivelerebbe controproducente. Soltanto Giuseppe Sala, a Milano, si è dimostrato capace di conquistare nuovi elettori, gli altri hanno soltanto tenuto là dove i concorrenti si sfaldavano.

C’è poi l’incognita dei Cinque stelle, che hanno perso Roma e Torino: davvero si rassegneranno, sotto la leadership impalpabile di Giuseppe Conte, a fare da satellite marginale del Pd?

Dubbi rilevanti, certo, ma è anche vero che le attuali leadership della destra responsabili della sconfitta (Berlusconi-Salvini-Meloni) difficilmente cambieranno a breve, e che la difficoltà di Lega e Fratelli d’Italia nel reclutare candidati presentabili dalla società civile è indice di una difficoltà, ben più grande, a consolidare un consenso molto effimero. Dunque, davvero tutto è possibile ora.

Meglio che i partiti non subordinino le scelte sul prossimo presidente della Repubblica alla fretta di pesarsi alle politiche. Potrebbero scoprire che il futuro è diverso da quello che immaginano oggi.

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