Si chiama “rivoluzione dei diritti”: è una politica operosa e vitale mediante cui i cittadini incidono direttamente sulle regole della convivenza sociale per adattarle alle loro mutate esigenze. È una rivoluzione tanto dirompente quanto pacata, dacché prende piede nelle Corti e segue i protocolli ordinati del diritto. Quando i parlamenti sembrano irretiti in un persistente stato vegetativo, le Corti vengono chiamate dalla cittadinanza ad accogliere rivendicazioni cui la politica si è fatta sorda.

Eppure, con la sentenza 33/2025 sull’adozione da parte delle persone singole, questa rivoluzione segna un ulteriore passo. In essa c’è l’indiretta ma palese presa di posizione contro una politica – quella favorita dagli esecutivi forti – che vuole avocare a sé il potere di stabilire chi in uno stato abbia diritto a cosa.

Sulla scia di altre decisive sentenze, la Consulta ha ribadito un principio cardine dello stato costituzionale di diritto: la legge è uno “strumento vivente”, da interpretarsi alla luce delle rinnovate esigenze dei cittadini – anche a dispetto, e se necessario contro, gli ideali politici di parlamenti e governi.

Politica “giudiziale”

L’idea di una rivoluzione dei diritti tramite la legge che si fa strumento vivo piace poco alla politica. La storia moderna ha legato a doppio filo la nozione di democrazia a quella di sovranità popolare, la quale si esprime per voce dei suoi rappresentanti seduti in parlamento.

Le camere fanno le leggi, il governo vi imprime un indirizzo direttivo e i giudici presiedono alla loro applicazione. Una tale concezione del rapporto tra poteri, valida forse un secolo fa, si scontra da alcuni decenni con la vistosa migrazione della politica dai parlamenti alle Corti, ampiamente sostenuta dalla cittadinanza. Questa politica “giudiziale” è tanto influente e pervasiva da indurre alcuni critici a coniare lemmi come “giuristocrazia” o “suprematismo giudiziario”.

Basti menzionare due recenti esempi, tra loro molto diversi, di interventi della Consulta che hanno segnato il cambio di passo. La sentenza 1/2014 ha annullato la formula proporzionale tra liste bloccate con premio di maggioranza e l’ha sostituita con quella dell’elezione proporzionale con voto di preferenza unica.

L’ordinanza 207/2018 sul caso Fabo-Cappato ha stabilito l’incompatibilità dell’articolo 580 del codice penale con il principio di tutela della dignità individuale (costruito per via interpretativa). L’esito di queste sentenze, e altre come queste, può ben dirsi epocale: si afferma la preminenza del ruolo della Corte nella tutela e nell’attuazione di quanto previsto dalla Costituzione.

“Vita privata”

Un esito di tanto eccezionale portata trova sintesi in due punti cruciali. Primo, la Costituzione fissa dei vincoli che sono indisponibili a qualsiasi organo dello stato, compreso il legislatore. Secondo, è compito della Corte costituzionale, di concerto con le corti di diritto europeo, esprimersi sul bilanciamento tra diritti in potenziale conflitto e stabilire quindi quale debba prevalere.

La sentenza 33/2025 ribadisce tale dirompenza politica. Secondo la Corte, la nozione di famiglia tradizionale (uno dei nuclei fondanti della piattaforma ideologica della destra) non può limitare il diritto alla “vita privata”, protetto dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Non è legittimo dunque insistere sulla presunta maggiore dignità della vita di famiglia rispetto a chi, persona singola, può garantire una vita dignitosa a un bambino adottato.

Tutt’altro che mero tecnicismo: i giudici indugiano sul significato di “vita privata”, sulle sue evoluzioni, su quali altri diritti essa implichi e sul perché la politica non possa limitarli. Insomma, i giudici costituzionali si fanno interpreti non solo del diritto, bensì anche della vita sociale e delle sue necessità più urgenti.

Questa rivoluzione dei diritti, che parte dal basso e si irradia sulle istituzioni più elevate, ci restituisce oggi un poco di speranza. In tutto il versante euroamericano, l’azione dei tribunali non solo fa da limite all’ipertrofia esecutiva, ma lo fa restituendo dignità alle rivendicazioni della cittadinanza.

Capace di elevarsi oltre le divisioni di parte, il diritto prodotto dalle Corti rammenda gli strappi e rende compossibili le divergenti visioni della vita. Non è tanto uno scontro tra poteri, perciò, quanto l’emergere proattivo di un organo dello stato che presta ascolto a chi chiede di risolvere problemi urgenti e soddisfare interessi legittimi. E se lo strappo con la tradizionale idea di democrazia è innegabile, converrà forse mettere a punto un qualche suo aggiornamento.

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