Scrive Concita De Gregorio a proposito di Elly Schlein : «Invecchia Meloni, al cospetto di una donna ancora nei suoi trent’anni che non origina dal comunismo come lei dal fascismo». È così. La nuova segretaria del Pd, nativa democratica, ha guidato una vera e propria rivolta degli elettori dem sulla base di una identità politica e culturale, ben presente nell’elettorato, predicata ma razzolata male dai vertici del partito. Da qui la ribellione delle primarie, che è ribellione contro il conformismo, l’elitarismo, l’ambiguità e l’eccesso di “vocazione governativa” del Pd, che diventa il demonio quando si degrada a cinica ricerca del potere senza dire agli italiani perché e per cosa.

 È sufficiente ricordare quella specie di golpe interno di Renzi per sostituire Letta a Palazzo Chigi, l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il Jobs Act e il catastrofico Referendum sulla riforma costituzionale. Quattro mosse che hanno detto al Paese: «Di voi, cittadini in carne e ossa, delle vostre sofferenze, non ce ne importa niente». O comunque così è stato percepito. Una catena di errori politici molto gravi.

Dopo le elezioni politiche di settembre già si avvertiva, tra coloro che avevano ancora una volta dato fiducia al Pd, un desiderio di rottura. Elly Schlein ha saputo raccoglierlo e dargli forma  politica. Aggiungendo qualcosa di inedito: l’autonomia di pensiero e di azione. Non si è fatta imbrigliare nel correntismo amorale, nessuno è riuscito a influenzare la sua visione, la sua idea di mondo. Lei è andata dritta per la sua strada.

Intanto molti si chiedono quale sarà la vera sfida della giovane leader. Quasi tutti puntano sulla guerra in Ucraina. Su quale posizione approderà il Pd. Ma nella realtà non è così. Già ora molti generali americani, ex alti ufficiali della Nato, ex capi di Stato maggiore italiani cominciano a parlare dell’impossibilità di avere un vincitore e un vinto alla fine del conflitto. Sono militari. Prima o poi la politica li ascolterà. Su questo punto Schlein è stata molto chiara quando, alla domanda di Fabio Fazio, ha risposto: «Non è in discussione la solidarietà al popolo ucraino. Ma non ci può essere sinistra senza l’ambizione di costruire un futuro di pace. I conflitti non si risolvono solo con le armi».

La vera sfida sarà un’altra: dare rappresentanza politica, visibilità e diritti, in primo luogo a quei dieci milioni di italiani poveri o quasi poveri, abbandonati dallo Stato, dal sistema economico sociale, da quello politico, dai partiti, e dal Pd.

È nelle sofferenze di queste persone che si è consumato l’abbandono, il disinteresse, la lontananza dalla politica di milioni di persone. Chi ha difeso in questi anni il giovane precario sottopagato, il lavoratore costretto a straordinari gratis e tutta quella moltitudine di persone scivolate nel disagio? Nessuno. Doveva esserci il Pd, ma i circoli erano chiusi o, purtroppo, concentrati solo su beghe correntizie. E stendiamo un velo pietoso sui vertici locali e nazionali, fatta salva qualche isolata eccezione.

Il sindacato ci ha provato, ma non ha trovato strumenti adeguati, il M5S ha tentato una strada, attraverso il reddito di cittadinanza, che ora verrà smantellato dalla destra di governo.Questa è la sfida, non solo italiana ma europea. Che riguarda l’insieme della sinistra Ue. E sarà la vera carta d’identità del Pd alle prossime elezioni europee del 2024.

A proposito: come si andrà a queste elezioni? L’Europa oggi sembra essere in uno stallo pericoloso e complicato. Dopo la coraggiosa risposta alla pandemia, il debito comune e il Next Generation Eu, tutto sembra andare indietro. Di nuovo si parla di rigore e pareggio di bilancio. Con una guerra nel cuore del continente. In più c’è stato il Quatargate (o Maroccogate), con tutto quello che ne consegue in termini di credibilità. In Europa ormai c’è una solida maggioranza di Popolari e Conservatori. E non dimentichiamo che tra i Conservatori ci sono Meloni e i suoi cugini spagnoli della destra franchista di Vox. Il Ppe ha fatto questa scelta, in piena legittimità. Qual è la scelta del Pse? Business as usual? Sarebbe inaccettabile e improponibile.

È compito del Pd cercare una strada nuova: quella di una alleanza, una coalizione tra socialisti di S&D, liberali di Renew guidati da Macron, Verdi (Greens/Efa) e la sinistra radicale di Left, con un candidato comune alla presidenza della Commissione. Come non vedere che, nella Francia inquieta di oggi, Mélenchon (Left) ha praticamente salvato dall’estinzione i socialisti (S&D) accogliendoli nelle liste unitarie, erigendo così l’unico vero argine alla solidità elettorale di Marine Le Pen. E in Spagna, paese tormentato dalla persistente presenza del franchismo all’interno dello Stato (come dimostra la incredibile, crudele e inutile persecuzione nei confronti dei catalani) ancora resiste l’alleanza di governo tra Psoe (S&D) e Podemos (Left). In Grecia, con il Pasok (S&D) scomparso, il partito di Tsipras (Left), con il suo quasi 30 per cento è una consistente forza popolare che, dall’opposizione, sta dando filo da torcere al governo di centrodestra. E in Germania, i verdi, la Spd e i liberali (in termini europei Greens, Renew e S&D) sono già al governo insieme. Di fatto, con i necessari distinguo e rispettive peculiarità, questa alleanza già ora esiste in natura, in molti paesi europei.

Certo, non sarà facile con i liberali europei, ma vale la pena tentare. Ci vorrà il coraggio di un vero programma comune e di una comune iniziativa nel futuro parlamento europeo. Per quanto riguarda il programma basterebbe partire da una frase di David Sassoli, un europeista che voleva cambiare l’Europa, nel suo ultimo messaggio, quello di Natale del 2021: «Il dovere delle istituzioni europee è di proteggere i più deboli e non di chiedere altri sacrifici aggiungendo dolore al dolore».

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