Nella vicenda ligure che ha travolto il presidente della regione Giovanni Toti ristretto agli arresti domiciliari, c’è un aspetto che sulla stampa non ha avuto lo spazio e la riflessione che meritava.

Mi riferisco a una delle accuse rivolte ad alcuni degli indagati di voto di scambio politico-mafioso, cioè di aver ottenuto voti in cambio di promesse di favori, posti di lavoro, case popolari. Il voto di scambio è un reato pesante per gli accusati e di non semplice accertamento. Toccherà ai giudici decidere sulle eventuali responsabilità penali. I mafiosi apparterrebbero a una comunità siciliana originaria di Riesi. Stupisce trovare in Liguria una presenza mafiosa? Certo che no, anche se molti in passato dicevano: mafia in Liguria? Qui non esistono mafiosi, sono solo nel Mezzogiorno. E questa affermazione, fatta anche da personaggi istituzionali e da qualche questore degli anni passati, agevolò la presenza mafiosa perché non consentì ai liguri di apprezzare come mafiose alcune condotte. La mafia più antica e più presente in Liguria è sicuramente quella della ‘ndrangheta.

I precedenti

Toti non è il primo presidente della Liguria a essere arrestato. Lo aveva preceduto Alberto Teardo, iscritto alla P2 e in rapporti con la ‘ndrangheta. Ci fu un matrimonio a Lamezia Terme e partecipò alla cerimonia molta gente armata. C’era anche Teardo.

Era un legame molto particolare che aveva come collante la ricerca di voti. Sembra incredibile, ma ieri come oggi, sembra cambiato poco nella modalità di certa politica di ricercare i voti. Le ‘ndrine di Ventimiglia votarono per il presidente ligure e poi sostennero alcuni candidati ancora nelle elezioni comunali del 1992.

Il “locale” di Ventimiglia non è come gli altri che esistono in Liguria, ha sempre avuto un ruolo importante nella gerarchia della ‘ndrangheta, quello di camera di controllo per l’intera Liguria.

A partire degli anni Novanta la costante di fondo che emerge è il rapporto con soggetti istituzionali e del mondo politico. Una famiglia originaria di Condofuri emigrata nella riviera del Levante riuscì ad avere una posizione egemone nel giro di un decennio perché ha investito nei rapporti con politici e amministratori locali, rapporti indispensabili per garantire l’aggiudicazione degli appalti da parte di alcuni comuni del Tigullio.

Anche la ‘ndrina dei Pellegrino di Seminara impegnata in una faida con i Gioffrè è interessata a quanto succede nel mondo politico dei paesi del Ponente con particolare riguardo verso personaggi politici che ricoprono cariche pubbliche, specialmente in ambito urbanistico. Si sostiene la persona giusta per ottenere lavori di rilevanza economica. Si muovono come una lobby, appoggiano e si appoggiano a chi può dare una mano, a chi può farli entrare nel meccanismo degli appalti.

La gestione dei voti

Per valutare la profondità dell’insediamento e del radicamento occorre guardare agli inizi degli anni Duemila quando si espandono i locali a Ventimiglia, Imperia, Lavagna, Sanremo, Rapallo, Savona, Sarzana, Taggia e nella stessa Genova in numero davvero elevato. Un brusco risveglio per la Liguria ci fu quando furono sciolti i consigli comunali di Bordighera e Ventimiglia i cui provvedimenti furono annullati dal Consiglio di stato. A Ventimiglia la situazione era pesante perché s’erano succedute le generazioni e i figli; i nipoti dei primi immigrati non erano più nati nello stesso comune dei genitori e dei nonni.

La richiesta dei voti determina in alcune realtà il cortocircuito. C’è una questione di primaria grandezza su cui occorre riflettere. La ‘ndrangheta è sicuramente forte, ma non al punto da eleggere con i suoi soli voti un consigliere regionale in una regione del nord o un sindaco. Lo può fare solo appoggiando un candidato già forte in grado di sbaragliare la concorrenza.

L’altro aspetto è che anche in questa regione sono i politici che chiedono i voti ai mafiosi. È il soggetto politico a dare forza alla ‘ndrangheta che, in mancanza d’un tale rapporto, sarebbe di sicuro più debole.

Man mano che ci s’inoltra in queste storie liguri è impressionante notare come sia invalsa l’abitudine di rivolgersi all’uomo di ‘ndrangheta, oramai diventato un punto di rifermento per risolvere alcuni problemi, anche di non grande entità.

Significativi e radicati insediamenti mafiosi si registrano, oltre che nel capoluogo regionale, soprattutto nel Ponente ligure, ove si riscontra una presenza più numerosa di esponenti delle cosche della Piana di Gioia Tauro e delle cosche della città di Reggio Calabria, mentre nella riviera di Levante il dato prevalente è rappresentato da presenze originarie della zona jonica calabrese e dal catanzarese.

Le attività a sostegno del mondo politico sono finalizzate ad acquisire potere politico ed economico. Ancor prima del traffico di stupefacenti, in Liguria i mafiosi calabresi e siciliani non erano rimasti con le mani in mano, ma erano riusciti a inserirsi in attività criminali presenti localmente. Il territorio è soggetto a una pressione innegabile di ambienti criminali e ciò crea difficoltà alle economie locali perché oramai dovrebbe essere chiaro a tutti che un pezzo dell’economia ligure è in mano ai mafiosi in realtà floride e lontane dai riflettori. E sarebbe davvero il caso di riaccenderli quei riflettori. «Non basta la magistratura», ha detto l’ex procuratore di Genova, «servono antidoti della società civile». Una scomoda verità.

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