In questi anni si è combattuta sul piano culturale e politico una battaglia decisiva per l’Italia, e per l’Europa. La battaglia sull’euro. Da una parte, si raccontava che il declino economico italiano dipendeva dall’ingresso nella moneta unica. Era colpa degli altri: dei tedeschi, delle regole europee.

Il principale divulgatore di questa tesi è stato Alberto Bagnai, un collega della mia università che adesso è il responsabile economico della Lega. Anche grazie anche a questa scelta di campo, la Lega di Salvini è cresciuta nei consensi fino a diventare il primo partito del centro-destra.

Dall’altro campo, si è argomentato che il declino dell’Italia deriva da problemi strutturali del nostro paese: scarsi investimenti in istruzione e ricerca, mal funzionamento di amministrazione e giustizia, nanismo delle imprese, eccessive disuguaglianze, sistema fiscale e welfare confusi e distorsivi, opportunismo della politica.

A questa seconda tesi ho contribuito con editoriali e saggi, un libro forse d’impatto. Circa un anno fa sono diventato responsabile economia del Partito democratico, un ruolo parallelo e contrapposto a quello di Bagnai. Il cosmo aveva una sua simmetria (a parte una strana coincidenza). Per noi europeisti Mario Draghi è stato il punto di riferimento, assieme a Carlo Azeglio Ciampi e a Romano Prodi.

Ora anche la Lega sostiene Draghi. La conversione europeista, se sincera, è benvenuta. Ma anche se non fosse sincera, è probabile che sia comunque definitiva: perché l’Europa adesso fa politiche espansive; perché la Lega ha una forte base imprenditoriale, che non ha (più) interesse a sganciarsi dall’euro. Il sovranismo non conviene più.

Tutto bene quindi? Non proprio. La Lega rimane su posizioni opposte a quelle del Pd su molti temi fondamentali, a partire dalla gestione della pandemia. O sulla riforma fiscale, dove il Pd propone il modello tedesco, che aumenta la progressività, la Lega la flat tax che la progressività la elimina (e la riforma del fisco è fra le condizioni europee per il Recovery).

Idem sulla transizione verde, verso cui la Lega è molto scettica (è un eufemismo) e a cui pure l’Europa ci chiede di destinare almeno il 37 per cento del Recovery. O sul Mezzogiorno: in questi giorni la Lega ha dichiarato che il sostegno al Sud va significativamente ridotto. O sui condoni. Sulla natura stessa del Recovery (la Lega non vuole accedere ai prestiti).

Per non dire dei diritti civili, dove il precedente governo aveva messo in agenda importanti interventi per la parità di genere, per le persone Lgbt, per i migranti (peraltro è in attesa di approvazione definitiva la legge sullo ius culturae).

Attenti a sottovalutare la portata di questi temi. Comprensibilmente la Lega vuole sedersi al tavolo, ma qui ci sono due visioni opposte del Paese. Che impongono scelte

Mario Draghi è la figura migliore per fare uscire l’Italia dal declino. Ma per riuscire nell’impresa, avrà bisogno di fare politiche coerenti, con il supporto dell’ex maggioranza.

Altrimenti sarà un’altra occasione sprecata. Un uomo solo non può fare miracoli. Le grandi democrazie avanzate non funzionano così. Capire questo è, adesso, il modo migliore per aiutare Draghi.

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