Scuole di nuovo chiuse a New York. Lezioni da remoto per un milione e centomila studenti delle scuole pubbliche della città. Proprio oggi i miei figli dovevano fare lezione in presenza. Capita raramente che siano a scuola negli stessi giorni.

A New York, dallo scorso 1° ottobre, le lezioni si svolgono in presenza solo due volte alla settimana, in modo da avere in classe ogni volta circa un terzo degli studenti. New York ospita il distretto scolastico più grande del paese e sei settimane fa era stata la sola delle grandi città americane a decidere di riaprire le scuole con turnazione (a Los Angeles e Chicago non hanno mai riaperto).

Mia figlia, che frequenta la terza media, non era particolarmente contenta della didattica in presenza: sei ore e mezzo di lezione con le finestre aperte (qui la temperatura ieri notte è scesa sotto lo zero), mascherina obbligatoria in classe, il pranzo consumato al banco senza poter parlare con i compagni, le lezioni comunque impartite attraverso gli schermi dei computer per permettere anche a chi è a casa di seguire in contemporanea.

Per mio figlio invece, che è al terzo anno delle superiori, la scuola in presenza voleva dire stare in classe solo due pomeriggi a settimana per due ore. «Pochissimo» dice lui «eppure, quando andavo a lezione, mi sembrava di fare una vita quasi normale».

Didattica a distanza ma non per tutti

Si torna quindi alla didattica a distanza, che funziona anche bene per i miei figli, malgrado l’isolamento e la perdita di vita sociale, ma che è molto difficile per chi non ha uno spazio in casa per studiare o ha fratelli piccoli di cui occuparsi, genitori che non possono essere d’aiuto perché lavoratori essenziali e una connessione insufficiente.

A New York 750mila bambini vivono sotto la soglia di povertà e 114mila sono senza fissa dimora. Per loro, che appartengono soprattutto alle minoranze etniche, la didattica a distanza è una chimera.

Secondo l’assessore all’istruzione della città, 60mila studenti non hanno ancora ricevuto computer e tablet per collegarsi da remoto, molti di loro vivono nei rifugi per i senzatetto.

La professoressa Elisabetta La Tanza che insegna matematica alle superiori mi aveva raccontato lo scorso settembre che, durante il lockdown, un terzo dei suoi studenti non prendeva parte alla didattica.

Vivevano situazioni difficili in famiglia, sia economiche che di salute, e gli era difficile dedicarsi allo studio stando a casa.

Oggi mi racconta che finalmente ieri si è collegata per la prima volta una sua studentessa che non vedeva dall’inizio dell’anno «era alla ricerca di una casa, per questo non poteva seguire le lezioni», dice la professoressa.

Come ha ribadito anche l’Unicef, il futuro di una intera generazione è a rischio. E i più vulnerabili sono anche quelli che pagano il prezzo più alto. Nel mondo 463 milioni di studenti non ha accesso alla didattica a distanza. «La perdita di apprendimento avrà conseguenze di lungo periodo sulle condizioni economiche e di salute di questa generazione».

Quando chiudere

Già qualche giorno fa il sindaco Bill de Blasio aveva detto che avrebbe chiuso le scuole quando l’indice di contagio in città avesse raggiunto il 3 percento, che significa più di mille positivi al giorno (a fronte di una popolazione di quasi nove milioni di abitanti).

Office of Governor Andrew M. Cuomo

Il governatore Andrew Cuomo invece ha dichiarato che terrà le scuole aperte in altre città dello stato finche’ l’indice di contagio non raggiungerà il nove percento. Molti genitori hanno protestato contro la decisione del sindaco di tornare a tempo pieno alla didattica a distanza.

In fondo, grazie ai tamponi a campione nelle scuole, il contagio negli istituti scolastici sembrava sotto controllo.

Nella scuola di mia figlia, per esempio, nell’ultimo mese erano risultati positivi quattro studenti, subito messi in quarantena insieme a coloro con cui avevano frequentato le lezioni.

In realtà secondo il dottor Jay Varma, che è uno dei consulenti alla sanità della città e che conosco da quando i nostri figli erano alle elementari insieme, oggi nella metà dei casi positivi non ci sono certezze su come le persone si siano contagiate.

Dove ci si contagia

Qualche giorno fa il New York Times aveva pubblicato un editoriale in cui chiedeva al sindaco di tenere le scuole aperte, come fanno la gran parte delle città europee, e di evitare invece una traumatica seconda ondata eliminando il servizio al tavolo all’interno di bar e ristoranti, dove oggi si può ancora mangiare occupando il 25 percento dei posti a sedere.

Secondo molti studi, infatti, sono i ristoranti e le palestre, e non le scuole, a fungere da super-diffusori. Detto questo i ristoratori hanno bisogno di aiuti urgenti dal governo perché rischiano di perdere la loro attività.

New York necessita di fondi federali per risollevare le sue attività commerciali e salvare il sistema di trasporti che a causa della pandemia ha un buco di bilancio di 16 miliardi. Fino ad oggi il presidente Trump ha negato ogni aiuto a causa della sua faida personale con i politici democratici di questo stato.

La situazione è anche più difficile in altri stati, soprattutto quelli governati da amministratori repubblicani come la Florida e il Texas, che fino ad oggi, seguendo la retorica trumpiana, si sono rifiutati di imporre l’obbligo di mascherina e misure più stringenti per le attività commerciali.

250mila morti

Ogni giorno il numero di positivi negli Stati Uniti supera i170mila casi. Solo ieri ci sono state quasi duemila vittime e 60mila nuovi ricoveri in ospedale. Ieri abbiamo anche raggiunto la soglia dei 250mila morti dall’inizio del contagio e, secondo le stime, nei mesi invernali potrebbero morire altre 200 mila persone.

Il dottor Anthony Fauci continua a ripetere che il paese ha bisogno di un approccio uniforme alla pandemia e non di misure prese stato per stato, città per città. È proprio l’assenza di una strategia nazionale che ha portato gli Stati Uniti ad essere primi al mondo per numero di morti e contagiati.

Il presidente eletto Joe Biden chiede da giorni all’amministrazione Trump di poter cominciare a lavorare in modo diretto con la task force contro il coronavirus e ieri ha anche chiesto accesso ai fondi federali per cominciare a preparare la distribuzione dei vaccini in arrivo.

Trump continua a negare qualsiasi forma di collaborazione. Risponde via tweet che è lui che ha vinto le elezioni, che ci sono stati brogli ovunque – anche se di questi fino ad ora non è riuscito a produrre alcuna prova – e che siamo ormai vicini a sconfiggere il virus.

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