Durante le lunghe celebrazioni di questo 27 gennaio, sono rimasto indignato per come sia stata proposta al grande pubblico la notizia sulla presunta scoperta del colpevole della delazione che ha permesso ai nazisti di scoprire il rifugio di Anna Frank e della sua famiglia.

Poco prima della giornata della memoria è uscito un libro di una autrice canadese, Rosemary Sullivan, secondo la quale la spia che avrebbe venduto i Frank ai nazisti, sarebbe  Arnold van den Bergh, uno dei leader degli ebrei di Amsterdam e membro del Jewish Council della stessa città.

La notizia è uscita con grande clamore mediatico, perché Anna Frank è un totem della Shoah, quanto Auschwitz o Primo Levi; perché la storia di quell’adolescente è stata letta da milioni di persone ed ha ispirato generazioni di ragazzi che si sono emozionati leggendo le pagine scritte durante la sua clandestinità.

Anche prendendo per buoni i fini con cui è stato realizzato il libro, senza filtri di alcun genere, è stato riproposto il mito dell’ebreo colpevole e corresponsabile del suo stesso genocidio, una leggenda che offende le vittime e sminuisce le enormi colpe del carnefice.

Questo tipo di comunicazione, sensazionalistica e morbosa, non ha fatto altro che stimolare i più classici pregiudizi antiebraici, ovvero che gli ebrei sono approfittatori, opportunisti, cinici, doppiogiochisti, tanto da vendersi il proprio simile compagno di sventura.

È invece notizia più recente che l’editore olandese del libro, Ambo Anthos, ha sospeso la pubblicazione del libro in attesa delle verifiche di un un gruppo di storici e chiesto anticipatamente scusa a chiunque si fosse sentito offeso dalla pubblicazione.

Le critiche degli storici 

Tutto questo determinato da una pioggia di critiche proveniente sia dal mondo degli storici, quali Bart van der Boom o Johannes Houwink ten Cate, ma anche dalla fondazione Anna Frank di Basilea fondata suo padre, che tramite il suo responsabile John Goldsmith ha parlato di un l'indagine era «piena di errori» e simile a una «teoria del complotto»  e che «l'affermazione principale è: un ebreo ha tradito gli ebrei», ha concluso sostenendo che «quello che rimane nella memoria ed è inquietante».

Il problema in sé non è la “scoperta” e la sua eventuale bontà, messa in discussione dallo stesso team di “ricercatori” che si è precipitato a dire che la colpevolezza di Arnold van den Bergh è certificata all’85 per cento. Ma anche prendendo per buona questa “scoperta”, quello che non va fatto è innanzitutto una ricerca basata su algoritmi e investigatori del Fbi; va rispettato un criterio di forma che eviti la spettacolarizzazione della ricerca e della “scoperta”, perché più simili alle inchieste dei canali tematici che al mondo della ricerca storica.

Ancora più importante la completa e totale decontestualizzazione della presunta “scoperta”, sia con in contesto storico d'appartenenza sia con le ricadute nella società contemporanea.

Qualcuno ingenuamente può pensare, sempre prendendo per buona la “scoperta”, che comunque sia è una verità e come tale va divulgata. Ma di storie di tradimenti fatti tra persone dello stesso ambito sociale, ebrei e non, ne è piena la seconda guerra mondiale.

Nel caso italiano pensiamo quanti nostri connazionali hanno fatto delazioni ad antifascisti che sono stati poi catturati e uccisi e non avevano di fronte al loro la minaccia di una deportazione o peggio la morte immediata.

Fuori bersaglio 

Quello che dovrebbe far riflettere è il livello di terrore esercitato dai nazisti in tutte le popolazione, se è stato quello il motivo del tradimento, non al contrario quanto siano state vili le persone che hanno vissuto quel tragico momento.

Quello che fa scalpore non è la storia in sé, ma il protagonista: la storia dei Frank è una storia tragicamente comune per gli ebrei olandesi e europei, di per sé non ha nulla di particolare, quello che ha reso quell’esperienza unica e immortale è lo splendido diario di Anna.

Altro aspetto da tenere presente è il fatto che una scoperta è tale se porta più luce su un argomento, se lo rende più comprensibile, mentre invece per come la notizia è stata proposta non ha fatto altro che riproporre falsità smentite ormai da decenni dalla storiografia più importante, allontanando quindi le persone dalla conoscenza dell’evento.

I più acerrimi nemici della Shoah, non sono il negazionismo o l’uso politico della storia, ma chi banalizza e trivializza il genocidio degli ebrei. Mentre i primi due aspetti provengono da mondi più o meno apertamente nemici degli ebrei, e quindi allo stesso tempo estremi e identificabili nella loro pericolosità, gli ultimi due aspetti quasi sempre provengono da chi invece crede di fare divulgazione storica e promozione di valori universali.

Questo secondo tipo di comunicazione non mette in guardia, perché viene promossa con presunti fini positivi, la si trasmette a cuor leggero, colpisce la massa toccandogli al pancia attraverso approcci sentimentalisti, ma che tutt’altro provocano profonde distorsioni.

Questo caso è talmente grossolano e macroscopico che fortunatamente è stato bloccato, speriamo che anche in Italia si muova qualcosa di più in tal senso.

I casi di questa banalizzazione della Shoah sulla grande comunicazione sono sempre molto diffusi. In questi giorni ho letto un titolo di giornale che definiva “sommersi e salvati”, come il titolo del famoso libro di Primo Levi, i leader politici che avevano condotto le trattative per l'elezione del presidente della Repubblica.

Lo scrivo con un po' di frustrazione: abbiamo centinaia di persone impegnate in una trasmissione della memoria, alta, qualifica, strutturata e approfondita, che cerca di creare una barriera contro i pericoli che quella storia ci racconta, ma poi basta una di queste narrazioni prodotte in maniera mainstream per depotenziare in maniera considerevole tutto quel lavoro.

Qualcosa deve cambiare. Questo tipo di comunicazione determina problemi sociali, perché  non solo non permettono la creazione di coscienze civili nei futuri cittadini ma peggio non fanno altro che produrre stereotipi che sono alla base del razzismo e dell’antisemitismo.

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