Il ministro Vittorio Colao sostiene l'inserimento nella Costituzione del diritto alla connessione veloce a internet. Di per sè la mossa non è emozionante. Molti politici - Colao sarebbe un tecnico, ma ha già imparato l’arte - amerebbero inserire in Costituzione i loro sogni di un mondo migliore, come se la Carta fondamentale fosse una lettera a Babbo Natale, mentre sappiamo che è meno efficace. Abbiamo inserito in Costituzione l'obbligo del pareggio di bilancio e non ci ha protetto dall'impatto della pandemia sul debito pubblico. Nemmeno il nuovo principio costituzionale del "giusto processo" dev'essere servito a molto, visto che imputati e avvocati non sembrano ancora contenti.

Solo negli ultimi dodici mesi abbiamo dovuto registrare le più fantasiose proposte di aggiornamento della Costituzione. L'allora ministro dell'agricoltura Teresa Bellanova chiese di inserirvi il diritto al cibo, con funzione di back up rispetto all’inattuato diritto al lavoro e al giusto salario. Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli ha chiesto di inserire la tutela della lingua italiana, senza specificare se puntava alla rilevanza penale degli errori di sintassi. C'è chi ha chiesto di mettere in Costituzione la tutela degli anziani e chi il diritto alla felicità. L'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte voleva la tutela dello "sviluppo sostenibile", gli animalisti hanno chiesto di aggiungere la tutela degli animali.

Preghiere alla Costituzione

E quindi non sorprende che Colao abbia deciso che, avendo l'Italia una delle peggiori reti internet d'Europa, l'unica soluzione sia affidare le nostre preghiere alla Costituzione, con una speranza di successo peraltro non superiore rispetto a coloro che si rivolgono alla Madonna di Lourdes. Il problema è che Colao è, incidentalmente, ministro dell'Innovazione tecnologica. Se il diritto alla banda larga fosse già nella Costituzione, lui dovrebbe attuarlo. E invece ha detto che il governo Draghi punta a risolvere il problema della banda larga per tutti ma non ha detto come, anche perché  le mosse necessarie non dipendono da lui. Nel 2014 il neonato governo Renzi annunciò che il problema sarebbe stato risolto entro il 2020. Nel 2021 Colao annuncia che ce la faremo per il 2026, senza spiegare al parlamento come e perché le promesse di Renzi sono rimaste lettera morta. Il ministro dice di ispirarsi al rimpianto costituzionalista Stefano Rodotà, che vedeva il diritto a internet come completamento dell'articolo 21 della Costituzione sulla libertà di comunicare. Ma Rodotà non ha mai fatto il ministro, e per dare agli italiani il diritto alla privacy ha fatto una legge ordinaria che funziona, non chiacchiere sui principi costituzionali.

Su questo il governo Draghi non ha rappresentato alcuna svolta. I ministri anziché governare comunicano. I più creativi celebrano misteriose svolte cambiando il nome al loro ministero. Quello dell'Ambiente è diventato della Transizione ecologica, ma il ministro Roberto Cingolani non ha ancora spiegato perché nella sua transizione ecologica ci sia spazio per le trivellazion offshore, bloccate quando il ministero aveva un nome meno sexy. Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) è diventato delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims) ma il ministro Enrico Giovannini continua a proporre le stesse colate di cemento di sempre. E anche Colao parla come un opinionista, un testimonial del progresso che prevede, auspica e propugna, senza mai annunciare una decisione. Come se il ministro fosse un altro. 

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