Un giorno, un solerte correttore di bozze mi rimandò indietro un testo in cui parlavo dell’«esercito nazionalista di Mao Zedong» opposto a quello di Chiang Kaï-Shek; il bravo correttore pensava forse a un mio colpo di sonno, barrò «nazionalista» e lo sostituì, ovviamente, con «comunista».

Il fatto è che io volevo proprio dire nazionalista: Chiang Kaï-Shek, sedicente nazionalista, era il corrotto rappresentante di un patchwork di feudi mafiosi governati dai «signori della guerra» che, dal frazionamento della Cina, traevano ricchezze e potere.

Mao, invece, voleva rendere la Cina great again, riunificandola; e vi riuscì, estirpando i signori della guerra e cacciando i russi dallo Xinjiang e dalla Manciuria. Ma tant’è.

Chiang Kaï-Shek è «nazionalista» per antonomasia, e Mao Zedong è «comunista»: cercare di capire cosa vogliano dire quei due termini e usarli a ragion veduta pare essere uno sforzo intellettuale troppo sfibrante, un’inutile eccentricità.

Eppure ne varrebbe la pena, perché il mondo è pieno di Chiang Kaï-Shek: chiassosi nazionalisti autoproclamati, che difendono con le unghie il loro brand, lo infiorettano di roboanti maiuscole e lavorano, coscienti o meno, alla distruzione del proprio paese.

Alla fine dell’Ottocento, pur di dimostrare che l’ebreo è un inguaribile nemico della nazione, i nazionalisti francesi lasciarono che le vere spie della Germania continuassero a informare Berlino.

La storia del Novecento ci offre una ricca panoplia di sedicenti nazionalisti che hanno ridotto la propria nazione a un cumulo di macerie materiali e morali.

Per arrivare alla triste attualità, con una banda di sedicenti nazionalisti russi che lavora alacremente a preparare il terzo collasso del loro paese in poco più di un secolo, forse il suo definitivo naufragio.

E poi, si parva licet, ci sono i sedicenti nazionalisti de noantri, che sognano di rifare il giochetto tentato da Berlusconi nel 1994: moltiplicare il valore dell’Italia in Europa giocando di sponda sugli Stati Uniti – una geniale trovata che finì nel «ribaltone» meno di sette mesi dopo.

Pensare oggi di poter mendicare altri sconti da Bruxelles col ricattino americano significa rischiare di perdere l’insperata manna del fondo Next Generation EU, e mettere davvero fine alla pacchia, ma per gli italiani.

Non solo: continuando a ringhiare contro gli immigrati, i nazionalisti italiani portano il loro paese – dove fra pochi anni ogni giovane sarà chiamato a lavorare solo per mantenere un pensionato – sull’orlo della guerra civile generazionale e dell’estinzione fisica.

La «grande sostituzione» non ci sarà, semplicemente perché non ci sarà più nessuno da sostituire.

Il nazionalista, però, non è prodotto del caso, o della volontà degli elettori; è un prodotto della storia: di regola, più una nazione s’immerge, più il nazionalista emerge. E sono guai per tutti.

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