Ho vissuto larga parte della mia vita nell’epoca berlusconiana. E per molto tempo la mia mente è stata occupata da riflessioni sul conflitto d’interessi, che ha mutato forma, nella mia testa e nella vita politica del paese. Questa fastidiosa nozione mi è ritornata in mente leggendo le angoscianti dichiarazioni della sua cliente riportate dall’avvocato Giulia Bongiorno, nel processo a carico di Ciro Grillo per un presunto stupro di gruppo.

Come ho detto già riflettendo sulla vicenda che ha coinvolto Leonardo La Russa, se ci sono casi in cui la parzialità è pericolosissima sono proprio questi. L’imparzialità serve sempre, nell’amministrazione della giustizia. L’imparzialità è un valore caldo. È la capacità di considerare il peso e la rilevanza di tutti gli interessi in gioco, di mettersi nei panni di tutti. È per questo, come dicevo in precedenza, che il padre di una persona accusata di stupro può e deve tacere, senza per questo venire meno ai suoi doveri genitoriali.

Anche i padri hanno il dovere di non essere accecati dai propri interessi o da quelli delle persone di cui si sono presi cura. Chiunque può cogliere la prospettiva dell’interesse generale, quale che sia il suo ruolo. Ma la capacità di vedere e tutelare gli interessi di tutti è necessaria soprattutto quando la giustizia serve a proteggere la dignità umana, come quando siano in ballo il corpo e la sua integrità, la libertà, la protezione della propria intimità, il diritto di non subire prevaricazioni ed essere inchiodati a ruoli di genere che perpetuano la dominazione patriarcale. In questi casi la giustizia è vitale per la protezione dei deboli, anzi della parte debole di ognuno di noi.

E l’imparzialità è necessaria non solo a chi giudica, ma anche a chi concorre al giudizio rappresentando le parti. Pur se un avvocato rappresenta gli interessi di una parte, la base e la giustificazione della sua presenza nel processo stanno sempre nell’obiettivo di assicurare l’interesse pubblico alla giustizia.

La brillante difesa di un imputato o il successo di un’accusa giova non solo a una delle parti, ma alla società in generale.

La senatrice Giulia Bongiorno rappresenta la parte civile al processo che vede imputato Ciro Grillo, il quale, com’è noto, è figlio di chi ancora rappresenta l’ispiratore di uno dei movimenti politici del paese, in questo momento all’opposizione. La senatrice Bongiorno appartiene alla maggioranza politica. Il suo impegno a favore delle donne e della parità di genere è noto. Si può capire che per chi l’ha scelta questo sia garanzia. E garanzia, ovviamente, sono le enormi abilità che Bongiorno ha dimostrato nell’esercizio della professione forense. E anche la capacità di lavoro della senatrice è commendevole, dato che è anche presidente dalla Commissione Giustizia.

Ma è qui che il conflitto si manifesta. Può una persona con un profilo professionale di questo tipo tenere le propria mente e la propria azione sgombra dall’influsso degli altri interessi che rappresenta nella sua attività politica, e guardare con la sua azione all’interesse non solo del suo cliente ma anche della società in generale? Non credevo durante la lunga era berlusconiana alle soluzioni esclusivamente legislative del conflitto di interessi e non ci credo neanche ora.

Si tratta di un fenomeno troppo multiforme per essere regolato con lo strumento tutto sommato grossolano del diritto. Ma la sensibilità civica, invece, avrebbe le armi per farlo. La capacità di discernere quale cliente rappresentare e quale no, per esempio, sarebbe una dote auspicabile nei professionisti che si occupano di questioni delicate e di rilevante funzione pubblica, come gli avvocati.

La capacità di evitare di trovarsi all’incrocio di interessi opposti e la sensibilità di evitare anche solo la tentazione di una rappresentanza surrettizia di certi interessi sarebbe una dote non solo auspicabile, ma anche necessaria in chi occupa una funzione politica, rappresentando interessi anch’essi di parte, ma all’interno di un sistema che mira nel suo complesso a tutelare il bene pubblico.

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