I cardinali giunti a Roma non affronteranno le contraddizioni emerse nel processo che ha visto coinvolto l’altro prelato. Soprattutto resterà irrisolto il nodo della giustizia vaticana, intrinsecamente impossibile da sciogliere perché nel piccolo stato il pontefice assomma in sé i poteri legislativo, giudiziario, esecutivo
Il nodo dell’entrata in conclave del cardinale Angelo Becciu è stato sciolto martedì 29 aprile, quando il prelato sardo ha dichiarato la sua rinuncia a parteciparvi, «avendo a cuore – ha scritto in un breve testo – il bene della chiesa, che ho servito e continuerò a servire con fedeltà e amore, nonché per contribuire alla comunione e alla serenità del conclave». Condannato in primo grado dal tribunale dello stato vaticano alla fine del 2023 per un’accusa di peculato, Becciu ha poi ribadito la sua innocenza in attesa del processo di appello, che inizierà soltanto in autunno.
Due erano i modi per risolvere questo caso, dove i colpi di scena si sono ripetuti anche nelle scorse settimane – grazie anche all’inchiesta condotta da questo giornale – e fino alle ultime convulse ore. La prima era rimettersi alla decisione dell’intero collegio dei cardinali, unica autorità in grado di deliberare dopo la morte del pontefice, e questo infatti aveva subito dichiarato alla Reuters lo stesso Becciu. La seconda era il passo indietro del cardinale, a sorpresa formalizzato appunto martedì.
Cambi di scenario
Più volte gli scenari sono cambiati: all’inizio il cardinale decano Giovanni Battista Re avrebbe detto al prelato sardo – presente alle riunioni dei cardinali, le congregazioni generali, che dal giorno successivo alla morte del papa si tengono in Vaticano – di essere favorevole alla sua partecipazione al conclave non avendo ricevuto disposizioni contrarie. Poco dopo sarebbe però intervenuto il cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, che a Re avrebbe comunicato la volontà di papa Francesco di escludere dal conclave il suo antico stretto collaboratore.
Dopo questi colloqui riservati, Re avrebbe risposto a un cardinale, che in congregazione generale aveva chiesto chiarimenti sulla questione da tempo nota, di avere trovato un accordo con lo stesso Becciu, ma questi l’avrebbe pubblicamente contraddetto. Più tardi sarebbe stato il cardinale Pietro Parolin, già Segretario di stato, a mostrare al collega sardo due lettere dattiloscritte – una del 2023 e la seconda dello scorso marzo – siglate dal pontefice appunto per negargli l’accesso in conclave.
Becciu avrebbe preso atto dei due documenti, ma sarebbe rimasto fermo nella sua decisione di rimettere la questione all’intero collegio cardinalizio. Poi, l’ultimo colpo di scena.
Cardinali assenti
La mattina del 28 aprile il prelato sardo si è infatti risolto a fare un passo indietro, com’è iniziato a filtrare dal Vaticano con notizie sempre più convergenti. E queste sono state confermate ventiquattro ore più tardi dalla sua decisione «di obbedire come ho sempre fatto – si legge nella dichiarazione del cardinale – alla volontà di papa Francesco».
Becciu dunque non entrerà nel conclave che inizierà il 7 maggio. La scelta deve essergli costata molto ma sarebbe stato più trasparente affidarsi – come in un primo tempo aveva detto il cardinale sardo – nei prossimi giorni al dibattito delle congregazioni generali. Ieri i cardinali presenti erano 183, tra i quali gli elettori erano quasi al completo: 124 sui 133 che dovrebbero eleggere il papa. Oltre la rinuncia del cardinale sardo, infatti, non verrà a Roma per ragioni di salute lo spagnolo Antonio Cañizares Llovera (l’altro assente dovrebbe essere John Njue, cardinale keniota ndr).
I cardinali giunti a Roma dunque non affronteranno le contraddizioni emerse nel cosiddetto processo Becciu. Secondo il prelato e i suoi difensori, le accuse non sono state per nulla provate e per di più la procedura è stata molto criticata a livello internazionale, tra l’altro per quattro interventi del papa nel corso del processo.
La giustizia vaticana
Soprattutto resterà irrisolto il nodo della giustizia vaticana, intrinsecamente impossibile da sciogliere perché nel piccolo stato il pontefice assomma in sé i poteri legislativo, giudiziario, esecutivo. Tanto è vero che dal 1929, anno di nascita dello stato della Città del Vaticano, l’esercizio della sua giustizia è stato piuttosto sobrio.
Già nel 1936 il giurista cattolico Pietro Agostino d’Avack definiva la nuova entità statale un esempio di stato teocratico o ierocratico, anzi – scriveva – «la forma più spiccata e accentuata, che mai si sia conosciuta, di teocrazia ierocratica». Una concezione che però è «sostanzialmente estranea alla dottrina cattolica» ha ribadito Nicola Picardi fondandosi sulla classica affermazione che «alla chiesa non compete la potestà diretta negli affari temporali», come ripeteva il cardinale conservatore Alfredo Ottaviani. Anche per questo motivo il caso Becciu doveva essere affidato al collegio dei cardinali e resta irrisolto.
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