Non è ben chiaro che ruolo politico abbia Beppe Grillo nel Movimento Cinque stelle oggi, ma la sua presa di posizione contro il fondo salva stati Mes ha un impatto evidente: legittima i 17 senatori e 50 parlamentari che si sono schierati contro la firma del trattato di riforma del fondo, mettendo a rischio la maggioranza del governo Conte in parlamento quando il 9 dicembre si deve votare la risoluzione che esprime la linea dell’Italia al prossimo Consiglio europeo.

Da quel post intitolato “La Mes è finita” sul blog beppegrillo.it, insomma, può passare il destino dell’esecutivo e forse della legislatura, bisogna prenderlo sul serio e non trattarlo come uno sfogo caricaturale di un (ex?) comico che, per l’occasione, ci ricorda il suo titolo di “ragioniere”. Praticamente tutto quello che Grillo scrive è falso.

Nelle prime righe attribuisce a Conte questa fase: “Disponiamo già di tantissime risorse (fondi strutturali, scostamenti di bilancio, Recovery Fund ecc.) e dobbiamo saperle spendere”, da questa premessa Grillo deduce che “Non è una questione di soldi, che sembrano esserci, ma come e dove usarli”.

I fondi strutturali ci sono,  e sono quelli che arrivano dal bilancio europeo ma che fatichiamo a spendere. Il resto però è in gran parte debito, cioè prendiamo a prestito risorse che non abbiamo: lo scostamento di bilancio è deficit aggiuntivo rispetto a quello concesso dalle regole di bilancio, il Recovery Fund include soltanto 82,1 miliardi di sovvenzioni a fondo perduto, il resto è sempre debito, anche se emesso dall’Unione (e comunque garantito, pro quota, dall’Italia). In ogni caso i fondi del Recovery arriveranno tra diversi mesi, e non certo tutti in una volta.

Il Mes offre una linea di credito sanitaria da 37 miliardi  - altro debito, certo, ma a basso costo – che l’Italia avrebbe potuto prendere in primavera, così da avere piani e soldi spendibili subito in vista della seconda ondata autunnale. Ma non è di questo che si discute in parlamento, bensì della riforma del Mes normale, quello cui può fare riferimento uno stato che fatica a ottenere credito sui mercati. E la riforma principale riguarda l’utilizzo del fondo per tamponare eventuali crisi bancarie. Ma di tutto questo Grillo non sembra essere consapevole.

L’elevato, come si fa chiamare talvolta, aggiunge confusione alla confusione, suggerendo al posto del Mes (una linea di credito) di tassare i beni della Chiesa su suolo italiano, o almeno di recuperare i 5 miliardi di euro che lo stato potrebbe ottenere dopo che una sentenza della Corte di giustizia europea ha dichiarato illegittima l’esenzione Ici tra 2006 e 2011. Serve una legge e il Movimento cinque stelle l’ha proposta, ed è ferma in Senato. Ma si tratta di 5 miliardi, tanti soldi ma non certo comparabili con quelli a disposizione del Mes e – in ogni caso – nulla c’entrano con la riforma del trattato sul Mes.

Poi Grillo rilancia una patrimoniale sui super ricchi, sei miliardi da ottenere da un’imposta del 2 per cento sui patrimoni sopra i 50 milioni di euro e del 3 per cento sopra il miliardo, con gettito ulteriore di 4 miliardi.

Non offre dettagli per questa misura che certo ridurrebbe un po’ la disuguaglianza, ma che il suo stesso Movimento ha bocciato quando parlamentari di Pd e LeU nei giorni scorsi ne hanno proposto una versione molto più moderata.

Grillo dimostra poi di avere le idee confuse quando parla di un “debito che ammonta a oltre 150 miliardi” (non è chiaro a quale si riferisca, quello dell’Italia è quasi 2.600 miliardi, altro che 150). Per trovare risorse che avrebbero reso il Mes non necessario sarebbe comunque stato sufficiente applicare il programma del Movimento Cinque stelle: revocare il bonus 80 euro del governo Renzi farebbe recuperare circa 11 miliardi all’anno, cancellare l’aumento deciso dal governo Conte permetterebbe di recuperarne altri 5, l’inutile controriforma delle pensioni di quota 100 è costata oltre 38 miliardi.

Per evitare la necessità di ricorrere al Mes, insomma, a Grillo sarebbe bastato vigilare sulla politica economica del partito che ha fondato.

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