Quel che per Luigi Di Maio è stato un taglio della casta, per Beppe Grillo è la prima stappa di un processo grandioso: il superamento della democrazia parlamentare.

Fine delle elezioni; uso del diritto di voto per dire Sì/No a proposte che vengono da organi non eletti ma sorteggiati.  Questa in sintesi la democrazia del futuro che il fondatore del Movimento ha tratteggiato in un seminario promosso pochi giorni fa dal presidente dell’europarlamento, David Sassoli con il titolo di “Idee per un nuovo mondo”. 

Il Sì al referendum del 20 e 21 settembre scorso, ha detto Grillo, ha risposto a una «domanda fastidiosa», quella sul taglio dei parlamentari.  Il fastidio può essere superato se situiamo la domanda in questa cornice: «Non credo più nella rappresentanza parlamentare». Quel Sì prende allora un significato nuovo: non per velocizzare il lavoro parlamentare, ma per superarlo.

Grillo crede nel referendum come «massima espressione democratica».  Invece di referendum che emendano quel che i parlamentari hanno deciso, propone continui referendum sulle questioni da risolvere e le proposte da approvare: anche un referendum «alla settimana» grazie a Internet, così da eliminare quel volgare uso della «matita copiativa che qualcuno bagna con la saliva».  Il rozzo voto elettorale sostituito col modernissimo e igienico voto digitale.

I modelli ci sono già: «Lituania ed Estonia». E poi l’affondo: «Non concepisco più la rappresentanza parlamentare», meglio «la democrazia diretta».

Privatizzarre il voto   

Grillo giustifica la sua proposta con il crollo della partecipazione elettorale. Se tanto ci pesa andare al seggio, meglio togliere il disturbo alla radice. Tutto si può fare da casa, in pantofole e pigiama.

Nel privato più intimo la nostra voce sarebbe anche più sincera: vicina al nostro sentire, senza la mediazione dei media e dei partiti. Autentica e trasparente perché fuori dello spazio pubblico.

A ben guardare, questa sarebbe una rivoluzione liberale più che democratica: una radicale privatizzazione del voto, il potere sovrano per eccellenza. 

Il suffragio sarebbe espressione diretta della società civile. I’identità artificiale e astratta del cittadino verrebbe rimpiazzata dalla persona concreta che mette nel voto la propria identità soggettiva, senza sforzo di mediazione e il mettersi dal punto di vista generale – il pubblico (in)volve nel privato che godrebbe di uno spazio dilatato. 

L’egemonia della società civile sulla politica – ecco l’aspetto involutivo della e-democracy del fai-da-te.

Questo è un punto spinoso, che i teorici della piattaforma Rousseau hanno discusso poco o niente. Il cittadino che si veste per andare al seggio dimostra  uno sforzo di riflessione che si forma nel e col discorso pubblico, insieme agli altri. Il giudizio su decisioni che riguardano tutti dovrebbe seguire criteri non privati (mi piace/non mi piace) ma pubblici (è giusto o no per noi tutti?).  Pensare di pulire la politica con la privatizzazione del votante è a dir poco inquietante.

Nulla è davvero spontaneo

Il referendum viene esercitato su quesiti che qualcuno deve pensare ed elaborare. Chi li confeziona? In alcuni casi comitati di esperti (per esempio nelle questioni climatiche, che nessun cittadino maneggia con competenza) in altri l’assemblea dei sorteggiati. Il sorteggio, dunque.

Grillo vede bene che il fondamento del sorteggio è nel giudizio: “Se un giurato di una giuria popolare può dare un ergastolo, allora può anche occuparsi a tempo determinato del suo paese, della politica». Certo, una corte popolare deve giudicare imparzialmente se un imputato è colpevole o innocente, e mai mettere in campo le opinioni private dei giudicanti.  Ma un’assemblea che deve decidere sulle leggi, si trova davvero in questa situazione? 

Il sorteggio, cui facevano ricorso le democrazie antiche per selezionare le corti popolari e le varie commissioni di ispettori di beni pubblici (gestioni di porti e strade, per esempio), non era usato quando si dovevano fare leggi. Nell’assemblea ci andavano i cittadini, direttamente. 

Alla base di questa differenza vi era – ci dice Aristotele nella Retorica — la differenza tra le forme di giudizio. Il giudizio delle corti deve dare un responso vero su quel che è effettivamente avvenuto; il giudizio nell’assemblea che fa le leggi su quel che sarebbe desiderabile fare o non fare. Il primo vuole un alto livello di imparzialità e oggettività: qui ha senso selezionare per sorteggio.

Il secondo vuole un alto livello di parzialità perchè su quel che è giusto fare o non fare le opinioni di cittadini liberi divergono fatalmente – in questo caso meglio le assemblee dirette oppure i parlamenti.  La libertà, non l’imparzialità, è il bene che le assemblee che legiferano vogliono.

Eliminare il giudizio

Nel parlamento come nell’assemblea diretta, il giudizio politico non può essere evitato. Ne andrebbe della libertà. Ed è proprio il giudizio partigiano (le parti, i partiti) quel che Grillo e gli amanti del sorteggio vorrebbero eliminare.

L’idea per il nuovo mondo è questa: basta con la rappresentanza che genera ideologie. Così Grillo: “Ora bisogna dare un senso di leggerezza alla politica, un senso anche un po' di ironia alla politica, perché stiamo andando verso derive brutte, di razzismo, e con una battuta felice il razzista lo metti a posto senza fare titoloni nei telegiornali. L'umorismo è il muro vero di questa cose qua, del razzismo e del negazionismo". 

In poche parole: le ideologie sono “derive brutte” perchè creano cose che non ci sono – ci allontanano dalla realtà concreta e ci fanno dissentire. Via gli “ismi” – senza elezioni niente partiti, e niente ideologie. Questo era anche il sogno di Guglielmo Giannini, il fondatore del Fronte dell’Uomo Qualunque, che aspirava ad eliminare il parlamento per elimimare i partiti.

Senza partiti niente rappresentanza parlamentare: noi cittadini, ad uno ad uno votiamo Sì e No su questioni concrete. Le cose parleranno da sole, le ideologie taceranno e con esse le retoriche confezionate ad arte per battagliare e cercare voti, la cacofonia e la diversità delle opinioni.

Una democrazia del sorteggio ha il sapore di una tecnocrazia positivistica.

Si tratta indubbiamente di un’idea radicale, ma poco democratica se associamo la democrazia politica al diversità delle opinioni. Se ha senso non volere gli “ismi” nelle giurie popolari (ecco la legittimità del sorteggio) non ne ha accettare di ricevere leggi da un’assemblea sorteggiata tra chi ha comunque opinioni diverse. 

O siamo tutti identici, e allora il sorteggio potrebbe avere senso, oppure un parlamento sorteggiato sarebbe un problema serio.

Le opinioni le voglio discutere e scegliere. Lasciare alla fortuna che l’assemblea contenga persone con idee opposte alle mie e che io non ho scelto ma subisco, non può essere un buon metodo per dare legittimità al potere legislativo.

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