Ci prova, come ha sempre fatto. La cifra stilistica di Silvio Berlusconi, in politica come in ogni altro campo, è sempre stata l’esagerazione, l’ostentazione sfacciata delle proprie presunte qualità e capacità.

L’affabulazione e l’illusionismo sono componenti indispensabili del suo modo di agire, e in passato hanno dimostrato di funzionare. Soprattutto quando sono servite ad accreditarne un ruolo unico e insostituibile in passaggi delle vicende italiane che dipingeva come cruciali, se non addirittura storici.

Solo lui, nel 1994, avrebbe potuto salvare “il paese che amava” dal baratro della incombente tirannia comunista, “sdoganare” una destra missina che pure già stava incassando lauti dividendi elettorali dallo sfaldamento della Dc, realizzare la “rivoluzione liberale”.

Solo lui sarebbe stato in grado di risollevare economicamente il paese realizzando un milione di nuovi posti di lavoro, di ammodernarne burocrazia e infrastrutture, costruendo il ponte sullo stretto di Messina e risanando la rete autostradale, nonché di rilanciarne il prestigio internazionale grazie alla sua contemporanea “amicizia” con Bush, Gheddafi e Putin. E la lista dei prodigi di cui si accreditava – racchiusi nella eloquente immagine del “miracolo italiano” promesso dal nuovo Messia, l’«unto del Signore» – potrebbe proseguire ad oltranza.

I rimasugli di Forza Italia

Con un simile pedigree, non c’è da stupirsi che l’ex Cavaliere riprenda oggi la consueta strategia, presentandosi in lettere ai giornali – ieri al Corriere della Sera su «le nostre richieste per dire Sì al bilancio» – e dichiarazioni da un lato come insostituibile per il centrodestra, che, a suo dire, senza il suo apporto non potrebbe mai vincere le elezioni, e dall’altro come l’unico esponente di quella coalizione realmente preoccupato per le sorti del paese, al punto di offrirsi come generoso sostegno al governo nel varo di provvedimenti che possano alleviare i danni prodotti da restrizioni e chiusure. Il tutto mentre uno dei suoi portavoce si spinge a proclamare che, nientemeno, Forza Italia presto ritornerà ad essere «il primo partito italiano».

Quali distanze separino queste affermazioni dalla realtà, non è difficile da appurare. Elezioni locali e dati di sondaggio indicano una costante erosione di Forza Italia, che non si limita a perdere pezzi in parlamento (già 15 deputati transfughi in varie direzioni) ma soprattutto è abbandonata da chi in precedenza l’aveva votata.

Le proiezioni degli istituti demoscopici già affacciano l’ipotesi che Lega e Fratelli d’Italia da soli, in più d’uno degli scenari legati ai diversi progetti di legge elettorale, conquisterebbero un numero di seggi sufficiente per governare. E il partito dell’ex Cavaliere, nelle periferie, scricchiola sempre più, non solo per i casi di corruzione che lo vedono protagonista.

L’affabulazione funziona ancora

Non è però questa prosaica situazione di fatto ad interessare Berlusconi, ma la prospettiva – o meglio, la speranza – di riuscire a riattivare ancora una volta la propria capacità di seduzione, che ha sempre ritenuto infallibile, sui soli soggetti che ai suoi occhi contano: i personaggi di quel “teatrino della politica” che ha sempre ostentato di disprezzare ma in cui si è saputo muovere con maestria. Gli alleati e gli attuali avversari, che un domani potrebbero prendere il posto dei primi.

Le mosse degli uni e degli altri sembrano confortarlo. Matteo Salvini, dopo aver ringhiato per un giorno, pare aver optato per una rappacificazione, che forse è solo una pace armata ma dà l’impressione, che per l’ego di Berlusconi è fondamentale, di un cedimento alla sua impuntatura.

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, non ha colto nemmeno questa occasione per presentarsi come il terzo destinato a godere fra i due litiganti e rivendicare, in nome di questa attitudine super partes, la leadership dell’alleanza, limitandosi a sperare di poter raccogliere un poco alla volta gli inquieti e gli scontenti – elettori ed eletti – dei partner.

Il segretario del Pd Nicola Zingaretti e Matteo Renzi di Italia Viva, in diversa misura, hanno intensificato i messaggi di disponibilità al dialogo e/o alla convergenza, e il Pd si è spinto anche oltre, con il regalo a Mediaset e gli auspici di Goffredo Bettini per una collaborazione non saltuaria con una Forza Italia sgombra dai miasmi populisti. Leu non ha praticamente fiatato. E persino dal lato dei Cinque stelle, Luigi Di Maio, nello sbarrare la strada ad un allargamento della maggioranza, si è lasciato andare ad un abbozzo di apprezzamento per la ragionevolezza del nemico di sempre.

Soltanto il Palazzo

Come già è più volte accaduto in passato, Berlusconi sembra dunque poter ancora esercitare una capacità incantatoria sugli altri protagonisti della politica italiana, di cui riesce a mettere in luce le non poche debolezze.

Il suo bluff rivela le incertezze degli altri giocatori seduti attorno al tavolo in cui si prendono le decisioni che contano.

Svanito il fascino delle ideologie, appannatosi il richiamo delle etichette di destra e sinistra, ridotte ai minimi termini, su molti punti, le differenze dei programmi, omologate in gran parte le modalità di comunicazione con il pubblico, quasi disattivate quelle leve di contatto con la società e le sue aspettative che erano le strutture territoriali dei partiti di un tempo, la politica italiana pare ridotta di nuovo alle alchimie di Palazzo. L’unico terreno su cui le ambizioni di rivincita del vecchio leader potrebbero tornare credibili.

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