Nel secondo trimestre del 2021 le bollette di gas ed elettricità incidevano per il 6,3 per cento sul reddito delle famiglie italiane.
Nello stesso periodo, la propensione al risparmio era vicina al 12 per cento.
Al calare del reddito, i due dati seguono un andamento opposto: il primo aumenta, rappresentando una spesa difficilmente comprimibile, mentre il secondo diminuisce.
L’aumento stimato per le utenze elettriche è intorno al 55 per cento, quello per il gas almeno al 40 per cento.
Ciò significa quindi per una coppia di impiegati come minimo azzerare la possibilità di risparmio, e per le famiglie operaie dover tagliare sensibilmente i consumi.

In altre parole, è come se uno tsunami improvviso e imprevisto si fosse abbattuto sui lavoratori italiani, mettendo a rischio la loro capacità di fare fronte alle necessità quotidiane.

Lo stesso si può dire per le attività economiche, già provate dalla pandemia e messe di fronte all’alternativa fra assottigliare margini spesso già esegui o alzare i prezzi, in un momento di pressione già fortissima sui consumatori.

È del tutto evidente che siamo di fronte ad uno shock che rischia non solo di compromettere le possibilità di ripresa del paese, ma soprattutto di minarne alla radice la tenuta sociale, già parzialmente compromessa dall’esplosione della povertà.

In questo contesto Eni annuncia un utile operativo di 3,8 miliardi nell’ultimo trimestre 2021, in vertiginoso aumento sul 2020 e non nasconde prospettive di ulteriore miglioramento per il 2022.
Si comprende immediatamente che la vulgata per cui aumenterebbero le bollette, ma non i margini di guadagno delle Società specializzate nelle fonti fossili non regge.

D’altra parte basta dare un’occhiata dall’altra parte dell’oceano per renderci conto che non siamo di fronte a un fatto isolato.
Bernie Sanders denuncia infatti un aumento record degli utili di Exxon Mobil, Chevron e Shell & BP fino a 25 miliardi di dollari, parlando di avidità, collusione e ossessione per il profitto delle compagnie.

Le aziende di stato

Nel caso statunitense, siamo almeno di fronte a società private, il cui unico e solo scopo è da sempre la remunerazione degli azionisti.

Diverso è il caso di Eni, il cui azionista di riferimento è lo stato italiano e la cui vocazione originaria era garantire l’approvvigionamento di energia al sistema produttivo nazionale.
Possiamo veramente accettare che oggi la stessa azienda punti invece esclusivamente a migliorare i propri bilanci, anche se questo avviene a discapito del sistema paese?
Riteniamo normale che il governo italiano spacci come utile e necessario l’aumento delle estrazioni di gas nel nostro territorio, quando invece questo significa solo consentire alla stessa Eni di vendere nel momento di maggior prezzo, anche a discapito di riserve strategiche già esigue?
Corrisponde ai nostri impegni nella lotta ai cambiamenti climatici che i maggiori utili conseguiti siano investiti nuovamente nella ricerca ed estrazione di combustibili fossili?

Queste sono le domande centrali, che in parte potrebbero essere rivolte anche a Enel e a tutte le ex municipalizzate tuttora a maggioranza pubblica.

Non dovrebbe essere necessario inventare una nuova imposta sugli extraprofitti per intervenire sulle tariffe energetiche in un mercato dominato da soggetti i cui vertici sono tutti di nomina pubblica.
Dovrebbe bastare un atto di indirizzo ai cda, per ricordare loro che in questo momento l’interesse fondamentale dell’azionista di riferimento, ovvero la comunità nazionale, sia il massimo contenimento delle tariffe.
Ecco quindi che gli utili dell’ultimo esercizio e quelli in formazione potrebbero essere destinati in forma di scontistica diretta o indiretta al consumatore finale, sia esso famiglia o impresa.
A meno che non si ritenga che i dividendi per Morgan Stanley & c. valgano più del benessere dei cittadini italiani e della tenuta del nostro sistema produttivo.

© Riproduzione riservata