Conseguita molto più che la semplice parità di genere con l’elezione di Debora Serracchiani alla Camera, nettamente preferibile all’imposizione ad opera del capogruppo uscente al Senato Andrea  Marcucci di Simona Malpezzi, sua compagna, pardon, amica di corrente, il Partito democratico di Enrico Letta ha iniziato il suo cambio di pelle. O, forse, no.

Da Bologna, ma anche da un pezzo non indifferente del Pd nazionale vengono segnali alquanto diversi, anche contraddittori. Caso esemplare, non solo perché lo conosco molto bene avendolo ampiamente frequentato, è quello del partito di Bologna.

Bisogna scegliere la candidatura per il prossimo sindaco della città. Virginio Merola ha completato due mandati, evento che non si verificava dalla metà degli anni Novanta dello scorso secolo. Ha anche indicato, in maniera del tutto irrituale, forse piuttosto scorretta, il suo successore preferito, l’assessore Matteo Lepore.

In campo c’è un altro candidato, anche lui assessore, Alberto Aitini, apparentemente preferito dai Circoli cittadini nei quali si sono espressi gli iscritti  in qualche modo consultati. Non ho letto dati certi.

Il potente parlamentare della città, Andrea De Maria, fino a qualche tempo fa fra i papabili, sembra si sia orientato a favore di Lepore. Non si sono espressi il segretario regionale e il segretario cittadino del Pd e neppure l’abitualmente molto loquace presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Tutti uomini.

 Non ho udito nessuna voce proveniente dalle donne del Pd, mentre ha fatto capolino Mattia Santori a nome delle guizzanti Sardine le cui procedure decisionali, in materie delicate come quella della indicazione di preferenza per una candidatura importante, mi sono ignote. Trapela la ricerca spasmodica di una candidatura unitaria che, però, è resa impossibile dalla tenace resistenza di Aitini.

Lo statuto dimenticato

In un partito democratico la parola definitiva spetta (spetterebbe) allo statuto nel quale sta scritto in maniera limpida che «il Partito democratico affida alla partecipazione di tutte le sue elettrici e di tutti i suoi elettori [quindi, non dei soli iscritti, nota mia]…. la scelta delle candidature per le principali cariche istituzionali» (art. 1, comma 5); che «gli incarichi sono “contendibili” (comma 9) e che “i candidati [uh, dizione quanto politicamente scorretta! Nessuna obiezione dalle donne?] alla carica di Sindaco e Presidente di Regione vengono scelti attraverso il ricorso alle primarie di coalizione» (art. 24, sottotitolato Elezioni primarie per le cariche monocratiche istituzionali).

Alcuni almeno dei meno distratti fondatori del Pd ricorderanno che i due principi posti alla base non soltanto del suo operato, ma della sua stessa esistenza, e considerati assolutamente qualificanti erano la vocazione maggioritaria e le primarie. 

La prima, davvero velleitaria, è già stata sostanzialmente archiviata dal neo-segretario che ha indicato come compito importante la ricerca di alleati per formare coalizioni competitive. Seppure sempre contrastate e talvolta manipolate, le primarie si sono svolte in moltissime occasioni e località, ad oggi, in ben più di mille casi.

Secondo colui, Arturo Parisi, oggi silente, che viene spesso menzionato nei resoconti giornalistici come “il teorico delle primarie”, la procedura delle primarie per la selezione delle candidature si deve assolutamente aprire ogniqualvolta c’è chi, alzando spontaneamente la mano, dichiara la sua disponibilità/volontà a candidarsi. Il regolamento stabilirà tempi e modi per la raccolta di firme a sostegno e per i dibattiti.

Da Bologna giungono, invece, segnali assolutamente inquietanti di resistenza. Il primo è fin troppo facile e prevedibile: la pandemia è un ostacolo a qualsiasi inevitabile “assembramento” primario. Poi, naturalmente, qualcuno sosterrà che non c’è più tempo per farle.

Non manca mai la proposta, assolutamente risibile, che si facciano le primarie, non “personalizzanti”,  per le candidature, ma “su progetti”.

Infine, in apparenza potentissima, si staglia l’obiezione che le primarie dividono il partito, dimenticando bellamente che il partito è già chiaramente diviso in correnti, anche a Bologna. La storia non finisce qui, ma deve tristemente registrare che dal vertice romano del PD il responsabile dell’organizzazione, Stefano Vaccari, manda agli uomini del Pd bolognese un ultimatum: si diano da fare per trovare una candidatura unitaria. Ci sarà pure un caminetto all’ombra delle due Torri. Altrimenti, “primarie ultima spiaggia”, come scrive il Corriere di Bologna.

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