Sono giorni dolorosi per chi crede nella pace e nella giustizia per i due popoli israeliano e palestinese, e da parte della politica che si definisce progressista c’è da fare qualche considerazione che vada oltre la condanna della violenza e il cordoglio per le vittime civili, a costo di prendere anche posizioni scomode.

In questi anni si è parlato troppo poco di Israele e Palestina, mentre nell’uno cresceva una destra sempre più estrema – diventata parte del sistema di potere di Netanyahu – e nell’altra proseguiva la crisi drammatica della Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e una presa di potere sempre più dittatoriale e pericolosa di Hamas nella Striscia di Gaza.

Non parlo per sentito dire, o sull’onda delle notizie di questi giorni: sono stato tante volte a Tel Aviv e a Gerusalemme Est ed Ovest, a Ramallah come a Nablus, fino alle alture del Golan. Intrattengo da anni rapporti con le organizzazioni politiche e sociali della sinistra israeliana oltre che con Fatah e con le organizzazioni dei giovani palestinesi. Proprio questi ultimi non credono quasi più nella soluzione dei due stati e vorrebbero una uguale cittadinanza in un unico paese, arrivando a ipotizzare un“diritto al ritorno” senza vincoli.

Quest’ultimo scenario però rappresenterebbe la fine di Israele “ebreo e democratico” con una maggioranza di popolazione ebraica, e dunque una prospettiva inaccettabile per la grandissima parte degli israeliani. Del tutto comprensibilmente, aggiungo, per quella che è la storia della nascita e dello sviluppo dello stato ebraico e il legame con il dramma della Shoah che non possiamo dimenticare. E dunque l’unica strada è ancora quella dei due popoli e due stati, magari elaborando una soluzione originale: una federazione fra due Stati sovrani, una ipotesi che trovo interessante per vari motivi. 

Ma cosa ha allontanato di più oggi la prospettiva dei due stati per due popoli?

Io credo sarebbe un torto alla realtà non riconoscere che il primo problema è il generale peggioramento delle condizioni di vita della popolazione palestinese, e in particolare a causa della politica di espansione degli insediamenti e di allontanamento della popolazione palestinese di Gerusalemme Est, che è un territorio occupato e che non può non fare parte del futuro stato di Palestina. A questo si somma la tolleranza delle autorità verso le azioni provocatorie della destra israeliana nell’area della Città Vecchia e nei quartieri arabi. Bisogna partire da qui, perché è qui la violazione persistente e continua del diritto internazionale, condannata in ogni sede sovranazionale compreso ogni organo dell’Unione europea.

Io credo che una azione molto più forte della comunità internazionale contro questi atti e al contempo contro Hamas – che ancora invoca la distruzione di Israele e compie atti terroristici che vanno condannati senza incertezze –  sarebbe stata necessaria in questi anni di assenza di politica internazionale, specialmente da parte europea, nei quali è stato lasciato spazio a iniziative come quella degli Accordi di Abramo benedetti da Trump e che dimostrano la loro fragilità proprio in questi giorni.

Ci sono purtroppo interessi convergenti tra la destra radicale israeliana e le frange estremiste palestinesi, che non vogliono un nuovo governo in Israele che metta definitivamente fuori gioco Netanyahu e con una presenza degli arabi così significativa da danneggiare la retorica antisemita di Hamas. Ci sarebbe poi molto da dire su quanto accaduto intorno alle elezioni palestinesi, ancora rinviate per inettitudini e interessi taciuti della leadership palestinese, ma ancora prima per la scandalosa decisione del governo israeliano di impedire ai residenti di Gerusalemme Est di parteciparvi liberamente. Decine di migliaia di persone rese apolidi, né israeliane né palestinesi, senza diritti.

In conclusione credo che i miei amici israeliani terrorizzati nei rifugi per via dei razzi di Hamas e i miei amici palestinesi privati delle loro case, oggi accomunati dai lutti familiari dovuti al conflitto, meritino di vivere una vita diversa. Ma serve davvero un impegno rinnovato del cosiddetto Quartetto: l’Europa uscita dalla pandemia si metta al tavolo con l’amministrazione Biden, con la Russia e con le Nazioni Unite per riprendere in mano il processo di pace per una terra dove è evidente che senza uno sforzo vero della comunità internazionale la violenza continuerà a crescere e il sangue continuerà a scorrere. Non possiamo permettere che tutto prosegua in questo modo.

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