Circola l’idea di cancellare i debiti «accumulati dai governi per rispondere al Covid». Il  presidente del Parlamento europeo David Sassoli, in una intervista a Repubblica, la considera «un’ipotesi di lavoro interessante».

Lascia perplessi che ne parli così chi presiede il parlamento europeo, in una fase in cui l’Ue deve collocare sul mercato le nuove emissioni per finanziare il piano Next Generation Eu. Anche perché il presidente viene da un paese che dal piano avrà molti debiti. Per giudicare la proposta occorrerebbe comunque che fosse meno vaga, anche perché se si cancellano debiti si devono cancellare anche i crediti corrispondenti.

Un primo modo di pensare la cosa è trasformare in sussidi a fondo perduto anche la parte di prestiti del Next Generation EU. Ovviamente serviranno emissioni Ue anche per finanziare i sussidi e, prima o poi, il servizio di questi debiti ricadrà pro quota sui paesi membri. Fatta adesso, la trasformazione non migliorerebbe il merito di credito europeo sui mercati.

Benissimo pensare che, col passare degli anni e indipendentemente dal fabbisogno per la pandemia, si sviluppi un consistente debito pubblico comunitario, finanziando in deficit il bilancio Ue: man mano che questo debito crescerà, parallelamente al totale del bilancio e al Pil europei, le redistribuzioni fiscali e i trasferimenti fra Stati e Ue e viceversa potranno diventare più ampi e sistematici, confondersi con la varietà e multidirezionalità del bilancio comunitario e lasciare quasi indifferenti i creditori dell’Unione.

Ma ora sembra davvero troppo presto: l’Europa è all’inizio dello sviluppo del suo debito e la puntualità del ripagamento dei prestiti dei paesi membri alle casse comunitarie servirà ai mercati per monitorare il rischio dei nuovi titoli Next Generation.

Ci pensa la Bce?

Un altro modo di pensare la cancellazione è supporre che gran parte dei titoli Next Generation finiscano alla Bce, come sta succedendo alle emissioni dei governi degli Stati. A quel punto l’operazione potrebbe ridursi a una faccenda fra l’Ue e la sua banca centrale. Resterebbe in circolazione la moneta creata da Francoforte comprando i titoli e questi verrebbero in qualche modo seppelliti con ingegnerie finanziarie: segnando perdite nel capitale netto del sistema europeo di banche centrali, contabilizzate in modo più o meno trasparente come passivo patrimoniale dell’UE e degli Stati membri. Oppure gli Stati e l’Unione potrebbero compensare gradualmente il Sistema rinunciando a incassarne gli utili da signoraggio.

Se il finanziamento monetario dei disavanzi pubblici europei continua di questo passo, prima o poi diverrà difficile evitare un pasticcio del genere. Ma, anche in questo caso, pare presto per pensarci, proprio quando la Bce sta impostando una revisione strategica che rilanci la sua credibilità e assicuri il futuro dell’euro e della stabilità finanziaria.

Piuttosto, occorrerebbe assicurarsi che la revisione in corso a Francoforte non trascuri, perché imbarazzante, proprio il tema di un molto futuro e graduale ma preannunciato rallentamento, arresto, inversione degli acquisti di titoli e, più in generale, delle relazioni fra la creazione di moneta, che è responsabilità indipendente della banca centrale, e le politiche di bilancio, nazionali e comunitaria.

Riformare il Mes

Sassoli parla anche della riforma del fono Mes, per renderlo comunitario e non più intergovernativo. È una proposta importante, da tempo sui tavoli comunitari, ma che non ha trovato per ora il necessario consenso politico. Fatto sta che la macchina del Mes pare veloce e son bell’e pronti i fondi per la sanità, mentre il meccanismo comunitario pare più lento e prende tempi incerti nel perfezionare l’approvazione e approntare l’erogazione di quelli del Next Generation EU.

Più limitata è la proposta di scorporare i fondi del nuovo sportello sanitario dal Mes (istituzione che, è bene ricordarlo, ha altri importanti compiti e che è previsto diventi presto garante dei fondi erogati dal fondo di risoluzione delle banche in crisi) e metterli a disposizione della Commissione per interventi economici vari. Ciò è stato suggerito anche da Enrico Letta. Ci sono pro e contro. Fra i contro vi è la possibilità che l’uso dei fondi sia meno utile all’obiettivo più urgente, quello di irrobustire alla svelta i sistemi sanitari. Non c’è il rischio che qualche governo favorisca il trasferimento proprio per poterli spendere con più disinvoltura? Sempre che non si voglia usarli per “cancellare” parte dei debiti nel Next Generation Eu.

© Riproduzione riservata