Chi di noi non ha canticchiato, almeno una volta, quel tormentone anni Sessanta di Riccardo del Turco, che fa “luglio col bene che ti voglio, vedrai non finirà”? Alla sua uscita, nel 1968, il pezzo fu subito un successo. Rimase al primo posto della classifica per intere settimane e vinse il premio Un disco per l’estate di quell’anno. Il brano è talmente moderno che ha spopolato nel 2006 anche nella sua versione remix ed entra nelle teste degli italiani interrottamente da 55 anni.

E visto che ogni singolo anno, a luglio, mi viene in mente questa canzone, devo dire che quest’anno ho riflettuto sul fatto che forse il luglio del 1968 doveva essere un luglio parecchio diverso da questo luglio del 2022, e da tutti gli ultimi luglio di cui abbiamo memoria.

Innanzitutto, si intuisce chiaramente dal tono leggiadro con cui Del Turco intona la canzone che luglio, a quei tempi, era ancora un mese non dico mite ma neanche paragonabile a questo girone dell’inferno con il terreno a 45 gradi.

Era un luglio comunque più fresco di agosto, un luglio da maglioncino sulle spalle al mare, un luglio di tranquille passeggiate sulla bagnasciuga (prova adesso a passeggiare sul bagnasciuga prima delle 18 senza avere un collasso). Un luglio in cui, forse, ogni tanto, pioveva pure. Che cosa vintage, la pioggia.

Era un luglio che volevi non finisse mai. E infatti la canzone si augura che “non finirà”. Un luglio in cui conosci una ragazza che ti piace nel luogo di villeggiatura, inizia a frequentarla e fantastichi sulla meravigliosa vita che avrete insieme, una casa in città, una montagna, un cane e due bambini.

Oggi se incontri qualcuno che ti piace il massimo che speri è di farci sexting per messaggio mentre entrambi siete serrati in casa vostra con l’aria condizionata al massimo, con buona pace della bolletta e del risparmio energetico.

Una casa, un mutuo, le vacanze, cani, figli, sono tutti retaggi di un’altra epoca, di un altro luglio. Era un luglio, anche, politicamente vivace, ma non nel senso in cui lo intendiamo oggi. Un luglio di scontri su ideali fondamentali, di forze progressiste che lottano e riescono a ottenere reali diritti civili.

Certo, a settembre agli studenti spettavano cortei in università, manifestazioni, ribellioni, ma sempre qualcosa di più vitale, e producente di questa attesa già stanca di un autunno elettorale in cui tutto sembra una infinita ripetizione di tutto. Eccetto per la novità del centenario della marcia su Roma, che in maniera tragica e tetra verrà celebrato con un grande ritorno politico della nostalgia mussoliniana.

Anche nel 1968 c’erano i fascisti, ma venivano fortemente contrastati. A volte con le parole, altre con le azioni politiche, altre ancora con le mani. Che per carità, è sempre sbagliato, ma forse più utile dei meme su instagram. In pieno miracolo economico si veleggiava sereni verso un futuro radioso, lontano dall’incubo della guerra, lontano dalla fame, dalla povertà sistemica, dalla povertà come prospettiva di vita.

Un luglio dove il termine “pandemia” lo tiravi fuori solo agli esami di stato in riferimento alla peste descritta dal Manzoni. Un luglio di certo non perfetto, dove i balletti su Tiktok assumevano la forma dell’Hully Gully come ballo di gruppo e probabilmente causavano lo stesso straniamento di fronte a questo omologato comportamento da primati che tendiamo ad assumere in estate.

Eppure era un luglio che, nonostante tutto, volevi non finisse mai. In cui la gente si voleva bene. O almeno, ci sembra che fosse così, perché poi chissà se era vero. Di sicuro oggi bene non ce ne vogliamo più. Nessuno vuole più bene davvero a nessuno. E come si fa, con questo caldo asfissiante, con questi drammi, con questi buchi cosmici e personali, con questa instabilità economica, politica, sociale, mentale?

Ma che fine ha fatto, quel luglio lí? Evidentemente, nonostante la canzone, è finito. E a noi non resta che parafrasare quella bellissima canzone cantando “Luglio, col bene che non ti voglio, speriamo che presto finirà”.

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