Non vogliono sentir parlare di scioglimento del Pd. Ma neanche dell’eterno ritorno dell’uguale, temono di sembrare un partito irriformabile. I membri della segreteria nazionale assicurano che si deve cambiare tutto, ma soltanto a condizione che non cambi assolutamente nulla.

Il nome? Certo, si può cambiare, ma va anche bene così com’è. Il simbolo andrebbe rivisto, almeno per dare un segnale, ma quello attuale è così bello che sarebbe un peccato.

La campagna elettorale poteva essere fatta meglio, ma forse il problema è che il programma del Pd era troppo bello per questi elettori che non sono capaci di apprezzarlo. Poche donne elette? Un problema, certo, ma ci saranno i capigruppo donne, così non vi potete lamentare (istituite, a suo tempo, per far dimenticare che tutti i ministri Pd nel governo Draghi erano uomini).

Gli elettori non capirebbero un congresso e una discussione tutta sulle alleanze, ma intanto parliamo di alleanze. Perché quando si tratta di affermare l’identità da difendere con tanto orgoglio, l’unico argomento è una domanda: “Dobbiamo chiederci chi siamo”. Perché i membri della segreteria del Pd non lo sanno, e i loro elettori se ne sono accorti.

La direzione del Pd – in streaming, scelta sempre apprezzabile – è a modo suo uno spettacolo interessante: rende chiaro che il problema del Pd non è e non è mai stato il leader, oggi Enrico Letta, ma l’oligarchia che lo guida.

Chi è dentro, cioè chi ha avuto collegi sicuri, auspica un cambiamento che però non sa declinare, articolare, neppure immaginare. Chi ormai è fuori o ha perso un seggio che pensava dovuto critica, distrugge, bastona, ma soprattutto il segretario, non il progetto.

Come dice l’eurodeputato Brando Benifei, uno dei problemi del Pd è che gli elettori non credono più a nessuna sua promessa.

Perché quando è stato al governo ha fatto il contrario di ciò che aveva detto. Oggi Letta promette “mai grande intese, se cade Meloni subito elezioni”. Avevano promesso lo stesso prima di allearsi con i Cinque stelle e prima di allargare la maggioranza anche a Lega e Forza Italia.

I Cinque stelle hanno perso sei milioni di voti tra 2018 e 2022, il Pd non è riuscito a intercettarne neppure uno. Anzi, è sceso da 6,4 a 5,2 milioni.

Tra le due opzioni disponibili, cioè una presa d’atto che il progetto avviato nel 2007 è fallito e la morte progressiva per consunzione, i vertici del Pd sembrano optare per la seconda. Il Pd attuale fa schifo anche a loro, sanno che non ci sono ragioni per votarlo, non è laburista, non è socialdemocratico, non è riformista, non è niente. Ma è tutto quello che hanno e ci restano ben attaccati.

Gli elettori, che non ne hanno alcun beneficio, glielo lasciano volentieri.

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