Sarà anche barbarie giudiziaria, ma le intercettazioni servono. Per esempio, mostrano che in pubblico i manager italiani dicono una parola in inglese ogni tre, mentre in privato confessano come perseguono gli interessi generali con sincero turpiloquio dialettale.

Per questo è doveroso incuriosirsi quando si inciampa su un comunicato della Snam (società quotata in Borsa e controllata dalla Cdp, Cassa depositi e prestiti) pieno di espressioni come fuel cell, anchor investor, energy innovation, e clean tech.

Rassicurati dal fatto che la Snam «si ispira a valori quali la trasparenza, l’onestà e la correttezza», e apprezzando l’impegno, leggiamo che pochi giorni fa ha acquistato il 33 per cento della De Nora, che «nel recente passato ha lanciato una nuova generazione di elettrodi, essenziali per accrescere le performance e la competitività dell’idrogeno prodotto attraverso elettrolisi alcalina».

Così Snam accresce «la propria esposizione ai mega-trend della transizione energetica» (ma come parlano? ndr). Tradotto: si è iscritta in solitaria alla corsa mondiale all’idrogeno a cui già partecipano colossi statali come Enel e Eni. La Snam ha 41 mila chilometri di tubi con cui trasporta gas commerciato da altri.

Fa lo stesso mestiere della consorella elettrica Terna, anch’essa controllata dalla Cdp Reti che ha come azionista, con il 35 per cento, la State grid corporation of China: l’Italia è un meraviglioso paese che si svena per l’italianità di Ilva e Alitalia e vende al governo cinese un terzo delle sue reti energetiche.

Per trasportare il gas, Snam incassa una tariffa fissata dall’Authority per l’energia che gli italiani pagano in bolletta. Il bilancio 2019 di Snam fa impressione: 2,7 miliardi di ricavi, 1,1 miliardi di profitti. Evidentemente le tariffe sono troppo alte. E non si può pensare che finanzino gli investimenti, visto che sono stati dati agli azionisti dividendi per 782 milioni (un terzo dei ricavi), parte dei quali destinati agli amici cinesi.

Snam vale in Borsa 15 miliardi di euro, quasi il doppio di Tim che pure fattura sei volte tanto. Il 33 per cento della De Nora impegna “fondi propri” per 400 milioni di euro; è la stessa cifra data dallo stato ad ArcelorMittal che ha ripudiato l’Ilva di Taranto. I soldi vengono dalla quotidiana stangata tariffaria che si abbatte sugli italiani. Sarebbe bello sapere come vengono spesi.

Un dettaglio desta curiosità. Quel 33 per cento Snam lo compra dal fondo Blackstone, lo stesso che in società con Cdp sta comprando Autostrade per l’Italia. Blackstone lo ha pagato tre anni fa 300 milioni e adesso lo rivende a 400: l’operazione De Nora gli ha reso il 10 per cento all’anno.

Dichiarazione di Blackstone: «Abbiamo esperienze di successo nel supportare le imprese familiari nel raggiungimento dei propri obiettivi. Siamo orgogliosi di aver aiutato De Nora, un leader in soluzioni sostenibili, ad affacciarsi a nuove arene come la transizione energetica e l’economia dell'idrogeno». Solo affacciandosi, De Nora ha aumentato il suo valore di un terzo.

Chi lo ha stabilito? Snam e Blackstone. Del resto i fondi come Blackstone lavorano così. Investono 100 in un’azienda per rivendere a 150 o 200. Normalmente si quota la società in Borsa, cioè si rivende al mercato indistinto. Ma perché darsene pena, quando hai sottomano un manager pubblico che ti chiude la pratica con un bonifico di milioni non suoi? Con un saluto speciale ai liberisti che si inalberano se lo stato regala cibo ai poveri ma applaudono quando regala milioni ai loro amici e finanziatori.

L’idea che serva una nuova politica industriale con lo stato regista è giusta, in generale. Ma ormai chiunque disponga di un po’ di denaro pubblico si fa la sua politica industriale. Snam sta all’idrogeno come le Fs all’acciaio (non producono, trasportano) eppure si è autonominata avamposto dello stato italiano nella corsa alla produzione di idrogeno.

De Nora, infatti, è solo «un potenziale primo asset per una nuova piattaforma di investimento nella transizione energetica», di cui la società pubblica sarà anchor investor. È l’orrore statalista prossimo venturo.

Ma il governo, il ministero dell’Economia e la Cassa depositi e prestiti lo sanno? E se lo sanno, perché non ce la raccontano per bene questa storia dell’acquisizione di una quota di minoranza della De Nora? O dobbiamo chiedere al governo cinese? Forse a Pechino ne sanno di più e magari sono più trasparenti.

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