Il rapporto tra i cattolici e la politica, come diceva anni fa Pietro Scoppola, è sempre stata una sorta di historia dolorum. Un rapporto difficile, complesso, sempre esposto al rischio di strumentalizzazione. Ma, per evitare di cadere nel generico, è bene soffermarsi su alcuni aspetti che caratterizzano la presenza dei cattolici, o meglio dei cattolici popolari e sociali, nella cittadella politica contemporanea. E, se vogliamo evitare la solita faziosità settaria, dobbiamo evidenziare almeno due elementi oggettivi.

Innanzitutto l’intero percorso storico, politico e culturale del cattolicesimo politico italiano non si può ridurre ad un fatto ornamentale, protocollare e burocratico. Non è riconducibile ai “cattolici indipendenti di sinistra” del vecchio Pci, cioè una presenza politicamente irrilevante e culturalmente ininfluente ma utile a confermare la natura “plurale” di quel partito. Che, però, aveva un’altra “ragione sociale” e praticava un altro progetto politico rispetto alla storica esperienza del cattolicesimo politico italiano.

Non può essere, specularmente, neanche quello di ritagliarsi una piccola presenza personale e testimoniale - gentilmente concessa - all’interno di partiti che prescindono dalla storia, dalla tradizione, dai valori e dal progetto del cattolicesimo popolare e sociale. Due derive che, mutatis mutandis, si ripropongono puntualmente oggi. E cioè, il Pd di Elly Schlein che riduce la presenza dei cattolici democratici e popolari nel suo partito, al di là dei proclami ad uso delle agenzie, ad un ruolo ancillare; del resto, in coerenza con un partito che adesso ha un profilo politico e culturale di sinistra radicale, massimalista e libertaria. Dove il ruolo, la presenza e la stessa “mission” dei cattolici popolari e sociali è del tutto estranea ed esterna rispetto al progetto complessivo del partito. E una mera presenza personale e, di conseguenza, del tutto testimoniale è quella che viene sperimentata concretamente nei partiti dell’attuale centrodestra.

In secondo luogo, a rileggere il magistero dei grandi statisti del cattolicesimo politico italiano, arriviamo alla conclusione che il loro ruolo non è mai stato subalterno, accessorio o remissivo. Certo, il ruolo dei singoli esponenti dipende anche dall’evolversi delle concrete fasi storiche. Perché, per dirla con Carlo Donat-Cattin, «non si può mai disgiungere il testo dal contesto». Ovvero, il progetto politico di un partito dal contesto complessivo. E, su questo versante, è evidente che ad oggi non è possibile perseguire il progetto di una presenza marcatamente identitaria, pur sempre laica e senza alcuna deriva clericale o, peggio ancora, confessionale, dei cattolici nella vita pubblica italiana. Ma questa considerazione non può giustificare, comunque sia, l’attuale ruolo periferico dei Popolari.

Ora, alla luce di queste due considerazioni, è evidente che non si può ridurre l’intera esperienza della nobile e antica tradizione del cattolicesimo politico - seppur nella sua declinazione democratica, popolare e sociale - alla sola presenza nell’attuale Pd di Schlein.

Solo una lettura faziosa e arbitraria della vicenda politica italiana può portare ad una simile conclusione. Anche perché, se così fosse, dovremmo prendere atto che il ruolo dei cattolici democratici, popolari e sociali nel nostro paese è destinato a giocare un ruolo del tutto testimoniale, per non dire ornamentale, nelle vicende italiane. Un destino ed una prospettiva che possono essere cavalcati solo da coloro che accettano un ruolo del tutto subalterno e gregario nella vita politica. 

È arrivato il momento di dire con chiarezza che non possono essere il “modello” di Schlein da un lato o quello della destra sovranista e clericale dall’altro i riferimenti calzanti per ridare un ruolo e una funzione all’impegno politico e pubblico dei cattolici. Un ruolo e una funzione che possono ritrovare il loro spazio, in qualsiasi partito, ad una sola condizione. E cioè, che non possono ridursi ad uno specchietto per le allodole da un lato o militando in partiti che perseguono un altro progetto politico dall’altro, radicalmente diverso e estraneo alla storia secolare dei cattolici italiani. Il tutto, con buona pace della tradizione “catto-comunista” che invoca un rinnovato e moderno “patto Gentiloni” per ridurre questa presenza ad un mero scambio tra consensi elettorali ed interessi confessionali e concreti da difendere. La “terza via” esiste all’orizzonte. Ma ci vuole di nuovo coraggio, coerenza ed un grande senso di responsabilità per percorrerla.

*L’autore è dirigente del movimento Tempi nuovi-Popolari uniti

© Riproduzione riservata