Stringere i legami sociali. Serrare le fila della società generando nuove forme di condivisione e cooperazione tra le persone. Rompere l’assedio dell’individualismo esasperato rigenerando forme di mutualismo, di scambio, di collaborazione tra i singoli.

La società si sente sfibrata e cerca nuove forme di saldezza, nuove dimensioni di intensità e di legami caldi. L’80 per cento degli italiani avverte la necessità di più cooperazione tra le persone; il 79 per cento sottolinea l’esigenza di sviluppare nuove forme di condivisione, di collaborazione.

Infine il 72 per cento segnala quanto sia importante per il futuro, per far crescere la società, sviluppare e intensificare le forme di mutualismo, di scambio tra i singoli.

Dopo quarant’anni di sbornia liberista, di spinta a disinteressarsi della società, degli altri e di pensare solo a sé stessi, ad arricchirsi, senza badare alle conseguenze, la società sembra mutare la direzione del proprio timone. A incrementare le spinte cooperativistiche e mutualistiche non è stata solo la pandemia, ma hanno influito anche la guerra e lo scatto inflattivo.

Tra il 2021 e il 2022 la spinta mutualistica è aumentata dell’11 per cento, con punte che sono arrivate al 77 per cento tra i giovani della Generazione Z e al 76 per cento tra i baby boomer. Le spinte alla cooperazione sono lievitate in un anno di 10 punti percentuali. Analoga crescita si è registrata sul tema della condivisione, che ha fatto registrare un +10 per cento.

La società si sente in difficoltà e il bisogno di cooperazione e mutualismo è una delle facce dell’Italia di oggi, con la ricerca di nuovi legami e di comunanza tra le persone, che mettano al primo posto il senso di essere tutti dalla stessa parte.

Si tratta di un sentimento che punta a serrare le fila della società, per fare fronte insieme alle intemperie della polifonia delle crisi e della transizione permanente.

Non a caso dall’osservatorio Legacoop-Ipsos emerge che il concetto di mutualismo non è più sinonimo di un’utopia (lo pensa solo il 6 per cento), né viene più associato all’assistenza sanitaria pubblica (6 per cento), ma significa, innanzitutto, una forma di assistenza e aiuto reciproco (47 per cento) oppure un patto tra le persone per condividere dei benefici e dei vantaggi (23 per cento). 

Insieme al bisogno di nuova comunanza umanistica cresce il bisogno di sentirsi parte di una comunità (80 per cento).

All’interno di questa dinamica permangono, tuttavia, due visioni dicotomiche del senso di comunità, con una maggioranza del 52 per cento che ambisce a realtà aperte e cosmopolite e il 48 per cento che, invece, predilige realtà chiuse e tutelanti.

Sul primo versante troviamo maggiormente schierato il ceto medio (57 per cento), mentre sul secondo sono collocati primariamente i ceti popolari (58 per cento).

Nonostante questa evidente dicotomia il tema della comunità e del suo rafforzamento è al centro delle dinamiche contemporanee.

In particolare, il profilo della comunità agognata è quello di una realtà in cui si esprimono i valori di solidarietà (67 per cento), onestà (51 per cento), inclusione (45 per cento), ma anche di fiducia (35 per cento). Multiculturalità e difesa delle tradizioni (sono rispettivamente al 24 e al 23 per cento), seguite dal bisogno di legami (22 per cento).

Il senso della comunità e le sue priorità sono sostanzialmente tre: creare un ambiente più accogliente per le persone, in cui garantire un lavoro dignitoso e una crescita per tutti (49 per cento); sostenere la salute e il benessere delle persone (46 per cento); ridurre le disuguaglianze (44 per cento).

La dimensione della comunità non è, pertanto, solo l’alveolo della tutela delle tradizioni, ma sta divenendo sempre più la risposta alle contraddizioni aperte dal fluire e sovrapporsi delle diverse crisi.

La comunità come ambito caldo, in cui si può ancora auspicare di ritrovare forme di benessere; come contenitore in cui si vanno a ridurre le disuguaglianze, grazie alla partecipazione, alla cooperazione e all’impegno mutuale dei suoi partecipanti.

La comunità come entità salvagente, come territorio deterritorializzato, per reggere i cambiamenti in atto e generare nuove speranze per le persone. Entità non solo difensive, ma attori di una nuova dimensione della crescita, contro le esasperazioni individualistiche e liberiste.

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