Le riforme del governo sono solo un diversivo? Può darsi. Ma è bene che le opposizioni affrontino questo snodo con le idee chiare, data l’importanza delle nostre istituzioni.

Il presidenzialismo (o semi) negli ultimi anni ha mostrato forti limiti: in Brasile, con Bolsonaro, o negli Stati Uniti, con Trump; ma anche in Francia le cose non vanno certo bene. Il punto è che le società occidentali sono oggi molto più polarizzate che in passato, soprattutto per l’aumento delle disuguaglianze, ma anche per ragioni culturali; con il presidenzialismo, la lotta politica coinvolge direttamente il vertice dello Stato e si perde, quindi, la massima istituzione di garanzia.

L’Italia è anch’essa una società molto polarizzata, sia sul piano socioeconomico (siamo uno dei paesi con le disuguaglianze più alte nell’Eurozona e il divario nord-sud è da decenni ai massimi storici), sia su quello politico-culturale (non riusciamo a metterci d’accordo nemmeno sull’antifascismo). Il presidenzialismo ci esporrebbe ai rischi di una deriva, in cui chi vince prende tutto, e probabilmente condurrebbe anche a un aumento della conflittualità interna (politica, sociale, culturale).

L’elezione diretta del premier (come ad esempio il «Sindaco d’Italia») si espone alle stesse critiche, solo un po’ attenuate. È evidente che il presidente della Repubblica ne uscirebbe gravemente indebolito. Inoltre, avremmo un esecutivo molto più forte del parlamento.

Noi però sperimentiamo già, da diversi anni, uno svilimento della funzione legislativa rispetto al governo: decretazione d’urgenza, ricorso frequente alla fiducia, mali evidenziati più volte da Sabino Cassese e che in questo modo, probabilmente, peggiorerebbero. Se l’obiettivo delle riforme è avere governi più stabili, coesi ed efficienti, allora una soluzione, che non abbia queste indicazioni, esiste: è il cancellierato sul modello tedesco, con la sfiducia costruttiva.

Il premier ha la possibilità di revocare i ministri, e il parlamento può mandarlo a casa solo se c’è già l’accordo su un altro governo. In Germania questo modello funziona bene. Ma funziona bene anche perché è parte di un assetto più ampio.

In Germania vige un sistema proporzionale di ripartizione dei seggi, con sbarramento al 5 per cento, e con una certa possibilità di scegliere gli eletti, in una quota uninominale; vi sono poi regole chiare sulla trasparenza e la democraticità dei partiti, e sul loro finanziamento (pubblico). Vi sono sì due camere con funzioni diverse, ma quella a elezione diretta e che esprime la fiducia (il Bundestag) ha ben 736 membri. È un assetto dietro cui c’è anche un’idea di società, più inclusiva e al tempo stesso più efficiente. Probabilmente tutte le opposizioni avrebbero interesse ad attestarsi su questo modello.

 

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